Maradona in lacrime, è da brividi il coro per Diego (Video-Foto)

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Nella terra in cui il futbol è religione e la cabala è scienza, le ricorrenze non passano mai inosservate. Se il compleanno di Leo Messi e Juan Roman Riquelme nel giorno della morte di Carlos Gardel rimane una delle triangolazioni preferite dai fanatici del pallone, non poteva passare inosservato che il ritorno in patria di Diego Armando Maradona coincidesse con primo trionfo del Diez con la maglia albiceleste: quel Mondiale giovanile sub 20 della Seleccion guidata da Cesar Luis Menotti, colui che diede la prima delusione della sua vita al giovane Pelusa, escludendolo dalla rosa mondialista del 1978. La storia avrebbe dato ragione a entrambi.  

 

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Era il 7 settembre del 1979 e il Diez non poteva prevedere che di lì a sei anni una città del sud Italia tanto lontana eppure tanto simile alla sua Buenos Aires l’avrebbe incoronato rey per sempre. Oggi, venticinque anni dopo quella passerella al San Paolo, un altro stadio e un’altra città sono andati letteralmente in delirio.
Maradona arriva al Gimnasia di La Plata, il club più antico del Sudamerica oggi esistente, fondato nel 1887, la sponda meno blasonata e meno titolata della città, una società in crisi di conti e di risultati che in due giorni ha registrato un record di abbonati e, naturalmente, di maglie vendute. In molti oggi ricordano come l’ultimo giocatore argentino a vestire una 10 del Napoli al San Paolo sia stato Roberto Sosa detto El Pampa, cresciuto proprio qui, al Gimnasia, e autore di un gol maradoniano con gli azzurri il 30 aprile del 2006, in serie C, con il Frosinone.
«Qui mi sento a casa, ma non sono un mago» ha balbettato un Diego in lacrime dall’emozione, che nei suoi discorsi non può fare a meno di tirare in mezzo l’amore per mamma Tota ma anche l’astio per Julio Grondona e Joseph Blatter. «Era da tempo che volevo tornare ad allenare in Argentina, ma ogni volta c’erano loro a impedirmelo». Verità o mania di persecuzione, oggi Diego potrebbe dire qualsiasi cosa senza essere contraddetto. Lo stadio, gonfio di entusiasmo e di ventimila persone, i giornalisti, i giocatori e lo staff tecnico, tutti pendono dalle sue labbra. E lui li manda in estasi: «Daremo la vita per voi tifosi e per la maglia». 
Una volta in campo si siede su un frigorifero portatile, come un Loco Bielsa più acciaccato e meno sobrio, per poi alzarsi in piedi e barcollare verso i suoi giocatori che lo guardano gongolanti. C’è perfino il tempo di toccare un paio di palloni, nell’allenamento che precede la conferenza stampa nell’Hotel Grand Brizo, dove parlerà un po’ di tutto, alla sua maniera, senza seguire un copione e passando dal calcio alla boxe, da Messi alla federazione argentina al Mondiale del ’94. Fonte: CdS

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