Tardelli a Football Leader: “In Italia troppo campanilismo, una squadra italiana in Europa deve avere il tifo di tutti. Allenatori italiani i più bravi a livello tattico”

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Parte ufficialmente Football Leader 2017. Alla Casa Circondariale di Poggioreale standing ovation degli oltre cento detenuti presenti in sala all’ingresso di Marco Tardelli. L’ex campione del mondo risponde alle domande di Jacobelli e dei detenuti:  

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Marco Tardelli, dopo il mondiale dell’82, a che tipo di calcio siamo arrivati? “A me piace il calcio del campo, quello fuori è cambiato rispetto ai miei tempi. C’era un’atmosfera diversa. Ci sono oggi degli allenatori molto più preparati sul campo ma molto meno nel contatto con i calciatori. Le difficoltà sono evidenti quando giochiamo all’estero. Io credo che sia ora di muoversi, fare qualcosa di importante, di costruire i vivai perché altre nazioni come la Germania lo hanno già fatto ottenendo risultati. Loro fatto bene, dobbiamo cominciare a fare così anche noi. In Italia c’è troppo campanilismo. Bisogna essere uniti tutti nello sport. Ieri ero qui a Napoli e quando la Juve ha perso hanno sparato i botti. Una squadra italiana che gioca all’estero merita il rispetto degli italiani.”.
Che giocatore era Scirea? “Non è facile parlare di lui al di là del giocatore fantastico che era, non ha avuto quello che meritava. Era capace di fare tutto, pronto a coprire gli errori degli altri in campo. Un compagno che sapevi di trovare sempre. Persona onesta, coraggiosa. Molto introversa ma un ragazzo fantastico”.
Allenatori italiani all’estero. “Tatticamente siamo più bravi degli altri, più attenti ai dettagli. Quando andiamo all’estero riusciamo ad applicare alla tattica questa voglia dei calciatori stranieri di essere più liberi. Io credo che il leader se lo scelga lo spogliatoio se non c’è un allenatore che può farlo. Quello è fondamentale sia per l’allenatore che per la squadra perché fa da unione tra i due”.
Come si fa a riprovarci dopo un incidente di percorso? “Io sono stato fortunato perché non ho mai avuto incidenti. Però all’inizio ho fatto una gran fatica perché i miei genitori non capivano niente di calcio e non erano d’accordo. Soprattutto mia mamma. Tante volte andavo a giocare e rientravo di nascosto. L’unica cosa che ho dovuto riprovarci sempre è sulla mia fisicità. Molte volte sono stato scartato da Inter, Milan, Bologna perché non avevo una credibilità fisica. Ho cercato sempre di portare avanti la mia passione ma ci vuole anche fortuna. Non mollare mai è il segreto”.
Le domande dei detenuti. Pensavi di entrare nella storia del calcio prima del mondiale del 1982? “Io ho fatto l’urlo di importante. E’ rimasto quello. Si tratta anche di una cosa che mi ha perseguitato perché sembra che ho fatto solo quello. Ho fatto anche 50 goal, giocato con la squadra che non amate. Entrare nel calcio italiano non è semplice. Maradona lo ha fatto, io sono più indietro ma credo di aver fatto qualcosa di carino”.
Il mondo del calcio potrebbe aiutare i giovani a non prendere una strada sbagliata? Ero figlio di operai che vedevo poco e avrei potuto sbagliare strada, incontrare persone che mi avrebbero fatto del male. Ho puntato sul calcio che mi ha sempre tenuto fermo sul campo, sul pallone. Molti altri miei compagni non ce l’hanno fatta. Oltre al calcio metterei la cultura. Ho preso il diploma però mi è mancato molto lo studio. Credo serva molto per indirizzarti nella vita”.
E’ possibile creare una selezione nazionale di detenuti allenata dal un big del calcio?  Dipende dalle istituzioni, non possiamo decidere noi. Ma siamo pronti ad impegnarci.
Ai margini dell’incontro il saluto di Gianni Di Marzio che raccoglie il caloroso abbraccio della platea: “Sono pronto a fare il vostro allenatore!”

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