Sono le plusvalenze a tenere in piedi il calcio italiano

L’attenzione dei club si sposta pertanto sul terreno del calciomercato e delle plusvalenze, ormai seconda area di entrate nella stragrande maggioranza delle società (dietro solo alla voce dei “diritti audiovisivi”). In media pesano per più del 20% nell’analisi valore della produzione (il giro d’affari delle società). Nell’ultimo anno hanno toccato quota 717 milioni di euro. Poco al di sotto del livello record pari a 777 milioni di euro (raggiunto nella stagione 2017/18). Ormai per i club comprare e rivendere calciatori è un business più remunerativo delle sponsorizzazioni o dello stesso ticketing. In più consente alla società di risistemare i conti e “sterilizzare” le perdite, il tutto alla luce del sole.


C’è un elemento che deve far riflettere l’intero sistema tricolore. Le plusvalenze sono uno strumento utilizzabile durante le fasi di crescita dell’economia, ma l’emergenza Coronavirus porterà inevitabilmente a favorire solo scambi di “compensazione” tra società. Operazioni legali sotto il profilo contabile e civilistico, ma molto pericolose per la tenuta dell’intero sistema. Il rischio reale è doppio: è come se i bilanci venissero “anestetizzati” in attesa di tempi migliori, ma il problema della liquidità di cassa resta per molte strutture. Di fatto, si opta di per lo slittamento temporale dei problemi di bilancio.


Ultimo avviso per i naviganti: se la voce delle plusvalenze si dovesse ridurre del 30-40% i fondamentali dell’industria del calcio sarebbero mediamente più negativi. Si rischierebbe pertanto il crack di molte realtà. Scendendo poi di categoria (dalla “C” a scendere), molte società, non potendo contare sul salvagente dei diritti tv (come nel caso della Serie A), senza ricavi certi (biglietteria, sponsorizzazioni e attività di ospitalità negli stadi), potrebbero fallire o non riuscire ad iscriversi per la prossima stagione. Nel settore dei dilettanti si parla di 3 mila società a rischio. Fonte: CdS

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