Marolda: “Koulibaly non ha parlato da leader”

Fischiare si può , spartire si deve 

L’opinione di Marolda sul CdS:

“Da un patto all’altro. Andato a male quello della pastiera con tutta la pastiera, ecco spuntare quello dello spogliatoio. Si sa, l’amicizia è amicizia e allora non ci voleva la zingara per indovinare che quella bella compagnia l’avrebbe messa sul piano dei buoni sentimenti. Dei baci e degli abbracci per il povero Insigne, a un certo punto messo in castigo “dietro la panchina” dall’allenatore. Cosa che ha provocato, anzi: legittimato (ma perché don Carlo?) i fischi della gente per la notte avara di talento e personalità, ma della squadra intera, non di uno soltanto. Affetto, sì, dai compagni di gioco e di calcistica merenda per quella contestazione che Insigne s’è beccato, ma che nessuno ha avuto il coraggio, l’onestà di spartire con il capitano. «Hanno fischiato lui, ma quei fischi erano anche per me, per noi»: questo sarebbe stato bello sentire da Koulibaly. Invece non ha parlato da leader e ha lasciato tutti i fischi al suo compagno. Una contestazione nei confronti di Insigne neppure tanto originale, in verità. Perché ciclica, ora nascosta ora evidente e sempre risonante, come nel riconosciuto stile d’uno stadio. Ma non solo. Perché quando uno spettacolo non piace, non lo si reputa adeguato alle attese e neppure al costo del biglietto, beh, si fischia anche a teatro. Perché il fischio come espressione di civilissimo dissenso è un indiscutibile diritto. «Tu hai quello di sbagliare, io quello di fischiare», eccolo il vero patto senza tempo tra chi va in campo sapendo di correre quel rischio e chi paga per non essere deluso. Tra un giocatore in campo e un tifoso sulle gradinate, infatti, s’instaura sempre un processo di immediato dare e avere: tu offri il tuo calcio ed io ti offro il mio consenso o il mio dissenso. Poi, si capisce, ci sono giocatori e giocatori. I campioni sono quelli che non hanno paura di non riuscire a “dare” e non fanno gli occhi lucidi se la gente tutto gli riserva tranne che l’affetto. I campioni a metà, invece, sono quelli che, come raccontò una volta Garcìa Marquez, si fanno prendere dalla “paura del palcoscenico”. Anche perché il tifoso sa essere fetente: sceglie spesso una vittima – e Insigne lo sa bene – e su di lui riversa la sua ostilità. Ed è qua che il calciatore non campione paga con l’errore, con l’insicurezza quella scelta prevenuta e ingiusta. Ingiusta perché ad altri, a quelli che sanno vivere un rapporto ruffiano con la gente, sono sempre riservati margini d’errore e di perdono. 

 

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