Il Mattino – Pablito Rossi: «A questo Napoli non direi no»

Sono sessanta. Gli anni. Oggi.

Campione del mondo ed eroe nazionale, Paolo Rossi è un vecchio ragazzo che è da sempre nel cuore di tutti: il nome di Pablito non si è scolorito, non si è screpolato, non è un ricordo che viaggia randagio da quando, nel 1982 divenne il fidanzato di un Paese che non lasciava più il calcio solo nelle mani degli uomini, e che cominciava a capire che nello sport contavano anche le facce, la capacità di bucare il video, di restare impressi negli occhi del pianeta. Un compleanno che festeggerà nel suo agriturismo di Poggio Cennina.

Rossi, a chi deve dire grazie? «A due persone in particolare: Fabbri e Bearzot. Hanno inciso in maniera speciale nella mia carriera. Fabbri è stato come un secondo padre, mi ha cambiato ruolo nei miei primi anni al Vicenza quando giocavo da ala. E poi a Bearzot a cui devo la mia carriera esaltante in Nazionale e con cui ho avuto un rapporto privilegiato e unico nel suo genere».

Quando Paolo Rossi diventa Paolo Rossi? «Al mondiale di Spagna, senza dubbio, nel momento in cui realizzo quei tre gol al Brasile. Quell’anno è diventato mitico per tutti, quel mundial spagnolo è stato qualcosa di epocale, mi fermano ancora per parlarmene. Più passa il tempo è più quel trionfo assume un tono epico».

Lo è anche per lei? «Sì. Il tempo è come se si fosse fermato a quel luglio di 34 anni fa. La gente mi dice ancora grazie… mi racconta dove stava il giorno della partita, con chi stava… Non credo che si sia qualcuno in Italia che non ricordi cosa facesse il giorno della mia tripletta al Brasile».

Ha il rimpianto per quel no al Napoli? «Quella volta che vidi Ferlaino gli dissi che venivo volentieri ma a patto che mi garantisse una squadra vincente… Io non volevo passare la mia carriera senza vincere niente: sognavo scudetti, coppe internazionali e non accettavo di non poter competere per quei trionfi».

Allora Higuain ha fatto bene ad andar via? «Se pensa che questa sia l’unica maniera per vincere, sì. Ma non credo che il Napoli di adesso sia meno competitivo della Juve».

Una carriera corta la sua? «Sì, è durata poco, a 30 anni ho smesso. E con due anni di stop che ancora gridano vendetta».

La pagina più dura la squalifica per il Totonero del 1980? «È stata una vicenda assurda, senza senso, dolorosa. Ho pagato per qualcosa che non ho mai commesso. Ingiustamente sospeso, una storia assurda che ho pagato a caro prezzo».

Ha mai perdonato i suoi accusatori e chi poi la condannò? «La giustizia sportiva mi fermò senza avere uno straccio di prova nei miei confronti: non c’era niente su di me, né soldi né altro. Solo uno (Massimo Cruciani, ndr) che diceva una cosa contro di me, mi accusava, diceva che mi aveva convinto ad accettare una combine. Tutto falso, tutte bugie. Ma sono finito in un incubo… La vita ti riserva delle prove. Una pagina difficile da digerire.”

E poi? «Te ne fai una ragione e il destino ci mette lo zampino. Dopo un mese vinco i mondiali e con i miei gol scatta l’amnistia per tutti gli altri condannati come me, anche per quelli veramente colpevoli»

Chiuda gli occhi, il momento sportivo più bello dei suoi 60 anni? «I 3 gol al Brasile. Ma allora non mi resi conto della portata di quell’evento, mi sembrava una cosa normale: quello è stato un giorno magico, la prova che lassù qualcuno mi ama… che c’è un disegno nella vita di ognuno di noi che prima mi ha portato una grande sofferenza per la squalifica di due anni e poi a diventare una leggenda».

Chi sono stati i suoi più cari amici nel mondo del calcio? «Cabrini, Tardelli e Nicola Zanone con cui continuiamo a vederci ancora. Ma in generale c’è un legame molto forte con la squadra dell’82. Qualcosa di indissolubile».

Il suo modello da bambino? «Hamrin. Volevo imparare le sue finte, le sue astuzie e sognavo di diventare come lui. Era ala destra come lo ero io fino a 20 anni, prima della trasformazione in attaccante voluta da Fabbri al Vicenza. Lo vedevo giocare, piccolino, svelto. E lo elessi a mio modello».

Oggi c’è un suo erede? «Pepito Rossi è stato quello in cui mi rivedevo di più, soprattutto ai tempi di Parma. Ma non ha avuto la mia fortuna, troppi intoppi, troppi infortuni».

Questo campionato lo segue da commentatore: si diverte? «Se resta così combattuto, mi diverte: tutti davano la Juve in vantaggio netto su tutte le altre però è in campo che si vincono le partite. E un po’ di difficoltà mi pare che le abbia incontrate fino ad adesso».

E il Napoli? «È la squadra che più di ogni altra sta dando continuità al suo gioco. Sarri ha un modo di fare travolgente, ha un modo di dare la carica straordinario. Difficile dimenticare così alla svelta uno come Higuain».

Chi le ricorda Milik? «Un po’ Savoldi. Non per struttura fisica, perché Beppe era più basso ma per la sua capacità di dominare l’area avversaria che aveva anche Savoldi».

Sarà un duello Juve-Napoli per lo scudetto? «Sono le squadre che hanno le rose più ampie e di qualità. Certo, quella bianconera è di un altro pianeta, ma anche gli azzurri hanno dei ricambi adeguati che gli consentiranno di essere competitivi fino alla fine».

Oggi, lo dica, al Napoli direbbe ancora di no? «No, questa volta, sarebbe impossibile. Perché questo è un Napoli che vuole vincere ed è costruito per potervi riuscire». 

Fonte: Il Mattino

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