Era nell’ombra, ora Stanislav Lobotka per Spalletti è la luce del Napoli

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Prima di accomodarsi dinnanzi allo specchio, e porsi domande anche scomode, Stanislav Lobotka e Ismaël Bennacer se ne sono stati un po’ da soli con se stessi, hanno afferrato una sedia – quella dei registi – ed hanno provato ad interpretare la propria seconda vita. Alle spalle, ognuno aveva piccoli o grandi macerie che avrebbero potuto sommergerli pure psicologicamente: ma il coraggio, e si sa da un bel po’, se uno ce l’ha non ha bisogno di andarselo a cercare tra i detriti del passato. Stanislav Lobotka a ventisei anni, ormai un uomo fatto e finito, ha evitato di sedersi sul lettino di un Freud contemporaneo e l’unica analisi a cui s’è abbandonato gliel’ha concessa il destino: «Devo tutto a Spalletti». Che lo prese dal sottoscala, nel quale era stato confinato nonostante valesse venti milioni di euro, e gli affidò il Napoli: a lui, che era divenuto un’ombra anche abbastanza corpulenta, che si era dovuto arrendere a tante, troppe panchine, che aveva scoperto il senso dell’inadeguatezza per diciotto mesi. Per capire: De Laurentiis gli ha appena rinnovato il contratto fino al 2027, con opzione fino al 2028, perché un uomo di cinema sa riconoscere l’autorevolezza d’un regista.  Il pallone è rotondo e certi giri possono sempre riattivarsi: sarà per quelle strane traiettorie che la sorte disegna ma Lobotka e Bennacer trasformano Napoli-Milan (atto primo, poi anche il secondo e infine il terzo) nella personalissima rivincita contro i luoghi comuni. Uno sembra Mozart, lo chiamano Iniesta, e l’altro per gli esteti è Van Gogh: suonano, dipingono, creano, sostanzialmente dirigono e sono ordinati o visionari, elementari o geniali, perché riflettono la propria natura ribelle, capace di trasformarsi in un tocco di palla. Lobotka è l’ispiratore di Spalletti oppure no, la riproduzione dell’anima di un allenatore che sta realizzando il capolavoro della propria esistenza e del calcio italiano attraverso un calcio onirico, da museo d’arte moderna; Bennacer è la proiezione plastica di Pioli, un gentiluomo che si è issato sino allo scudetto nella passata stagione, che sta per scucirselo dal petto, ma che non ha mai smesso di inseguire i tratti di una bellezza accattivante.

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MAESTRI. Lobotka non ha saltato una sola partita, di lui Spalletti non sa farne a meno o non vuole o non può, perché è vietato per legge rinunciare ad un uomo da 1.569 passaggi precisi, ad una specie di “musa” intorno alla quale il Napoli orienta il proprio splendore, uno che disegna parabole, traccia no look, incanta con lanci di esterno che lo avvicinano a Don Andrés, paragone dal quale si scosta sorridendo. «Chiamatemi Lobo». Bennacer si è rifatto ad Empoli, una specie di Eden nel quale è germogliato in gioventù Spalletti, prima s’è concesso la gioia di vincere la Coppa d’Africa con l’Algeria (nel 2019) e poi di slancio si è preso il Milan per 136 partite, un pilastro o un radar, o entrambe le cose. Pioli ci ha puntato per il trionfo dell’anno scorso. Napoli-Milan sembra una mini serie televisiva e invece con Lobotka e Bennacer è un film.

 

Fonte: CdS

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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