Durante l’intervista di Pino Taormina a Luis Vinicio nelle sale del ristorante “Mimì alla Ferrovia” il figlio del Lione che accese la fantasia dei napoletani prima dello stadio del Vomero e poi al San Paolo (inaugurato, per inciso, con un suo gol alla Juventus il 6 dicembre 1959) ha 5fatto una confidenza. «Quando ho cominciato la carriera di civilista, in tribunale c’erano giudici che mi chiamavano Vinicio e non de Menezes. E spesso ricordavano la formazione del Napoli che papà allenava», ha spiegato Mario, che visse una breve esperienza da calciatore a Casoria prima di trasferirsi a Bologna per studiare giurisprudenza. Questa curiosità conferma il grande legame tra Vinicio e Napoli, qualcosa che va al di là del mero aspetto calcistico. Luis, che vive qui dal 1955 e che per non “tradire” il patto con i napoletani rinunciò alla convocazione del Brasile per i Mondiali del 1958, ha avanzato la propria candidatura per la cittadinanza onoraria. Lo ha fatto con il garbo di un novantenne che vive sereno nella bella casa di via Manzoni, con un paio di crucci soltanto: non potere più andare allo stadio e soprattutto non potersi più volare a Rio de Janeiro per le vacanze. Vinicio merita la cittadinanza e non perché è a Napoli da sessantott’anni, una vita. La merita perché ha regalato sogni ai napoletani. Negli anni Cinquanta, subito dopo la guerra, con i suoi gol e negli anni Settanta con la squadra che allenava, arrivata a un passo dallo scudetto. Vinicio non si fece ammaliare dalla Napoli che conosceva bene, quella squadra giocò seguendo le sue indicazioni – la prima a praticare la zona in Europa dopo l’Olanda vice campione del mondo del ’74 – perché c’erano regole rigide anche nello spogliatoio. Ecco, le regole che servono in una squadra come in una città. Fonte: Il Mattino
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