Amarcord – Rubrica di Stefano Iaconis: “Dedicato a te (Insigne 24)”

0

Mi ricordo mio padre con il viso acceso. Le braccia sollevate al cielo. Affacciato al balcone della terrazza di casa che gridava. E con lui i miei due zii, inseparabili compagni di viaggi calcistici, le medesime gote accese. Abbracciati tutti e tre in un grappolo lacoontico, dal quale emergevano suoni incomprensibili. Fuori sembrava l’aviazione nippo-tedesca avesse attaccato i cieli della città. Un fragore come di ordigni bellici in picchiata libera. Rivera aveva appena segnato il gol del quattro a tre, contro la Germania, nella semifinale del campionato del mondo di calcio, ed intorno a me si era scatenata la follia più autentica. Mi ricordo che me ne stavo inginocchiato dinanzi ad un televisore marcato Telefunken, di quelli che farebbero la felicità di qualunque collezionista di cimeli d’epoca, con le manopole verdi, i tasti bianchi smaltati, lo schermo da cinque pollici, forse dieci, che rimandava immagini in bianco e nero. Più giù, in strada, dai palazzi vicini, dalle finestre, le bandiere tricolori sventolavano dappertutto in un’ orgia delirante di tifo esploso. La voce di Nando Martellini arrivava dentro un ronzio che rivedo chiudendo gli occhi, dall’Atzeca, il luogo della leggenda. Andavo già allo stadio, naturalmente, ero stato iniziato doverosamente nella frequentazione del San Paolo e, guardando mio padre ed i miei zii, urlare come ossessi, in un giubilo inarrestabile, ero perplesso. Sebbene partecipassi anche io sollevando i pugnetti e mostrando le gengive snudate a causa della caduta di un paio di incisivi da latte. Mi spiego meglio. Avevo guardato la partita con loro, era quello il mio primo mondiale di calcio da spettatore, e le gesta di Pelè avevano fatto breccia anche nel mio cuore di bambino. Gordon Banks e la sua Inghilterra vivevano nei favolosi racconti paterni di un quadriennio prima, come il famoso gol non gol di Hurst, e Beckenbauer veniva a casa mia omaggiato con il nome di Kaiser, ogni volta che si accennava a qualche partita di calcio estiva nella quale uno dei miei zii doveva indossare la “6”. Avevo sonnecchiato per un’ ora e mezzo quasi, fino a quel momento. Italia Germania era scivolata via placida, dopo il gol di Boninsegna che aveva portato gli italiani in vantaggio. Improvvisamente era scoppiata una tempesta emotiva, ed io, sbigottito, avevo seguito con crescente smarrimento le bestemmie paurose, i pugni nell’ aria ed i commenti terrificanti ed irripetibili che erano seguiti al pareggio di Schnellinger. E poi era iniziata una sarabanda vertiginosa. Fatta di gol uno dietro l’altro. Avevo allora visto, incredulo, papà ed i miei zii rotolarsi sul pavimento di casa, emettendo suoni gutturali al gol di Burgnich. Alla rete di Riva. Fino al gol di Rivera, quello che avrebbe consegnato alla storia Italia/Germania di Mexico ’70. Ciò nonostante qualcosa non quadrava sotto il mio ciuffo nero che soffiavo su nella calura di quella notte di giugno del 1970. Perchè quegli stessi adulti che deliravano dentro quel salotto trasformato in una curva da stadio, erano gli stessi che, nel silenzio del San Paolo, avevano smadonnato e battuto i piedi al gol dello stesso Rivera, insultandolo in ogni maniera possibile, allorquando il golden boy dalla corsa da mannequin aveva pareggiato, con un colpo di testa chirurgico, la rete di Manservisi in un Napoli/Milan, uno a uno, di qualche mese prima. E medesima cosa era avvenuta con Gigi Riva, quando i futuri campioni d’Italia del Cagliari di Scopigno, avevano maramaldeggiato a Fuorigrotta. Due a zero, con doppietta proprio di mister rombo di tuono. No, qualcosa non andava per il verso giusto. Inoltre, hai voglia a dire che quella era l’Italia, la rappresentativa nazionale, ma proprio non capivo per quale motivo Albertosi, acrobatico portiere dello stesso Cagliari, che al San Paolo aveva impedito al Napoli il pareggio con una serie di parate incredibili, adesso dovesse ricevere attraverso lo schermo del televisore, un bacio da mio padre che gli diceva, con gli occhi spiritati, e le lagrime di commozione oramai prossime: “Calma, calma, Enri’, stammo dinto’ ‘e mani toje”. E poi, se quella era l’ Italia, per quale motivo ci giocavano solo calciatori del Milan, dell’Inter, del Cagliari e della Juve? Mentre mi guardavo intorno, le gambe ripiegate una sotto l’altra, i calzoncini corti ed a torso nudo, decisi che avrei dovuto approfondire la cosa. Per il momento decisi di farmi contagiare da quella meravigliosa follia che mi saltava intorno. Un giorno, pensai, sarebbe bello se quel gol dell’Italia, lo realizzasse qualcuno con un’altra maglia azzurra sulle spalle. Quella del Napoli. Prima o poi sarebbe accaduto. Ed intuivo che sarebbe stato unico. Di più: storico. Si, pensai sorridendo mentre mio padre mi sollevava in alto ed il grido “Italia! Italia!” risuonava dovunque.

Factory della Comunicazione

Stefano Iaconis

Potrebbe piacerti anche
Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato.

For security, use of Google's reCAPTCHA service is required which is subject to the Google Privacy Policy and Terms of Use.