«Era il Maradona o il Pelé dei valori». “Senza Davide  è un’altra vita”, lo dicono i fratelli

La gente questo l’ha percepito all’istante La ricorrenza non ci fa effetto. Quel giorno di marzo è lo spartiacque tra due esistenze. In questa non potremo mai ambire alla felicità piena. Manca lui»

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«La ricorrenza, il peso di questa data non lo avvertiamo. Quando superi la soglia del dolore, il 4 marzo è uguale al 5 aprile, al 6 giugno. Nostra madre, che è la saggia della famiglia, lo ripete spesso: Davide non c’è, la vita adesso è altro, non ci si scuote più». Marco e Bruno Astori al telefono. Sono i fratelli di Davide, morto nel sonno in una camera del Là di Moret di Udine nella notte tra il 3 e il 4 marzo 2018. Marco ha 45 anni, è ingegnere; Bruno quasi 40 («li compio a dicembre»), è architetto e anche il portavoce degli Astori. Marco ascolta, i silenzi di entrambi dopo ogni domanda sono lunghi e descrivono le sensazioni che provano meglio di qualsiasi risposta.

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Ogni tanto Marco interviene, ma solo se richiesto. «Lui è il più serio dei tre» chiarisce Bruno «tutti geometri, almeno in partenza. Io e Davide lo facevamo diventare cretino». «Togli questo pilastro, togli quest’altro muro, mi dicevano», ricorda Marco «e il palazzo o l’appartamento non stavano più in piedi».

Di nuovo Bruno: «Davide era pieno di fantasia e di curiosità. Il tempo libero lo impiegava per soddisfarle. Io lo prendevo per il culo perché non sapeva disegnare, ma aveva gusto. Si era impratichito anche con un software in 3D. L’interior design la sua specialità, era un maestro. Ricordo quando ci segnalò delle piastrelle che aveva scovato in rete e che acquistammo in Marocco, oppure dei divani della Baxter, un’azienda della Brianza che fa pezzi bellissimi. Un giorno Davide la citò in un’intervista e ricevette i ringraziamenti dei titolari che lo invitarono in sede. Non ci andò mai».  

 

I ricordi, anche quelli minimi, si inseguono e aiutano, emulsionando tutto in un racconto di emozioni. Bruno: «Cosa mi manca di Davide? Lui era il parere più autorevole, quello che inseguivo in continuazione per le cose importanti, ma anche per le cazzate. Era il confronto che cercavo quasi con ostinazione. Davide era più giovane di me di cinque anni, ma aveva un equilibrio, una sensibilità e una maturità impressionanti. Il nostro capitano. Ho detto autorevole, non è il termine giusto. Provo a essere più preciso: ecco, quello di Davide era il parere che mi interessava di più, l’unico che ascoltavo».  


«Noi tre eravamo molto uniti e complementari» prosegue Bruno. «Ora mi ritrovo senza il contraltare più naturale, l’altro io, e allora provo a immaginare cosa mi avrebbe detto Davide, come si sarebbe comportato in quella determinata occasione. Marco (e lo dice con un sorriso, nda) è l’unico sano del terzetto, io e Davide un po’ folli e disinvolti. Ma quando tanto Marco quanto Davide dovevano chiedere uno sconto ai fornitori passavano l’incarico a me. Immancabilmente».  
«Eravamo talmente uniti» spiega Marco «che Davide provava un filo di gelosia nei confronti addirittura di mia moglie. Mi sono fidanzato da giovane, avevo appena diciotto anni, quando veniva a trovarci si metteva sempre in mezzo, come se volesse evitare il contatto fisico tra me e lei».

«Provava a salvarti» interviene Bruno. Che aggiunge: «Vedi, vorrei riuscire a spiegarti cosa significa per noi una perdita come quella di Davide, ma non so se ci riesco. O forse sì. La sua morte è lo spartiacque tra due vite: c’è un prima del 4 marzo 2018 e c’è un dopo, è come se quel giorno fossi morto anch’io, non una parte di me. Adesso so, sappiamo che non potremo più ambire alla felicità piena della vita precedente. Nostra madre sintetizza tutto con una sola parola: altro. Superato un dolore simile, gli imprevisti, i problemi, le tensioni quotidiane sono idiozie vissute come tali. La morte come spartiacque, è così. Io ho una moglie, un figlio, gli amici, il lavoro e un pensiero che si ripresenta costantemente nel cervello e che mi rappresenta: l’assenza. Vivo in un mondo senza il suo sorriso. Questa chiacchierata con te non ha nulla di preparato, ma io e Marco prima di accettare ci siamo chiesti se a Davide avrebbe fatto piacere. Tu l’hai conosciuto bene eppure scommetto che non sapresti rispondere».  


In effetti è così. Confesso che all’inizio rimasi sorpreso dall’impatto che la notizia della sua morte ebbe sull’opinione pubblica. Mi perdonerete se vi dico che sulle prime mi sembrò addirittura eccessivo. «Non era Maradona, né Pelé» è ancora Bruno che parla. «Davide è stato un ottimo calciatore, non un campione di rilevanza mondiale, ma trasmetteva valori e questo la gente, anche i tanti che non l’avevano mai incontrato, l’ha percepito. Probabilmente ha colmato un vuoto emotivo. Era il Maradona o il Pelé dei valori umani. Davide era fortemente empatico. A questa tempesta di buoni sentimenti hanno contribuito anche i compagni che l’avevano conosciuto, la dolcezza e la spontaneità delle loro parole. Penso a Milan (Badelj, nda) che sentiamo ancora, a Buffon, De Rossi, Totti, Antonelli, Sirigu che con Davide ha condiviso pezzi di vita e di carriera. La gente di Firenze, poi, ha fatto il resto. I fiorentini sono pieni di passione, speciali, vivono di pancia ogni cosa, ogni rapporto. Davide era rimasto quando tutti gli altri erano fuggiti, su di lui la Fiorentina impostò la ricostruzione. Da quel momento Firenze l’ha adottato, l’ha sentito suo. Davide era campione di valori grazie soprattutto al lavoro dei miei genitori, a quello che gli avevano insegnato. I calciatori, a meno che non siano figli d’arte, provengono in massima parte da famiglie semplici, con un basso tenore di vita, e si ritrovano catapultati in una realtà “irreale”. Per reggere l’urto e non restarne schiacciati irrimediabilmente devono possedere una struttura morale, una formazione solida… Davide solido lo era e stava pianificando il suo futuro dopo il calcio, leggeva, studiava, si applicava, aveva individuato il percorso da seguire. Spendeva in viaggi, ma per il resto era attento».

La compagna, la figlia le sue priorità.
«Io Davide lo vedo tutti i giorni» conclude Marco. «Lo vedo e lo sento». Bruno mi avverte: «Da questa chiacchierata» mi dice «dipende il futuro del tuo numero di telefono nella mia rubrica».  
Li saluto, passano soltanto dieci minuti e ricevo un messaggio di Marco: «Tu sei uno dei pochissimi giornalisti con i quali ogni tanto parliamo ed è sempre un piacere farlo, anche per il rapporto che avevi con il mio fratellino. Ti chiedo di ricordare solamente le cose belle. E devi dire a Linus che lo ascolto sempre».  
Cose brutte solo dopo Davide, e appartengono alla giustizia ordinaria.  

Intervista a  cura di Ivan Zazzaroni

 

 

 

 

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