E Diego suggerì a Ferlaino come diventare “grandi”

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«Sia stato il gioco o i risultati, marchiai a fuoco la società portandola ad essere rispettata», ha scritto Diego Armando Maradona nell’autobiografia Yo soy El Diego, l’unica autorizzata dall’ex campione. Era sbarcato a Napoli perché «avevamo bisogno di un affare, con i numeri stavamo a zero». «Perché non andai alla Juve, al Milan, all’Inter? Perché l’unica squadra che fece un’offerta fu il Napoli». Di cui Diego niente sapeva. «Scoprii dopo il mio arrivo che aveva rischiato la retrocessione in serie B negli ultimi anni e infatti sembrava proprio una squadra di serie B: quanto soffrimmo al debutto in Coppa Italia contro un avversario di serie C». Ricorda il colloquio con Ferlaino e il primo suggerimento: Renica, il difensore della Sampdoria. Maradona disse al presidente «di comprare tre o quattro giocatori e vendere quelli che la gente fischia. Il suo termometro deve essere questo: quando io passo il pallone a qualcuno e lo fischiano, ciao. Altrimenti cerchi di vendermi perché io, così, non rimango». Negli stadi il Napoli era insultato. Cori razzisti, ricorda il capitano, «per timore: non capivano come dei poveracci del Sud si stessero prendendo una fetta di quella torta». Il Napoli dei campioni – ricorda Diego con orgoglio – conquistò «una vittoria diversa da qualsiasi altra, anche dal Mondiale. Perché il Napoli lo avevamo fatto noi, dal basso, da operai. La gente cominciava a capire che non bisognava avere paura, che non vinceva chi aveva più soldi ma chi lottava di più». E chi aveva Maradona. 

 

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Il Mattino

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