Lotta al razzismo, l’occasione persa dell’ italico pallone

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Per ripartire ci siamo guardati intorno. Abbiamo preso un po’ da tutti, ma abbiamo “dimenticato” una cosa. Di essere sensibili. Il calcio italiano è rimasto l’unico a non essersi accorto di quello che sta succedendo nello sport mondiale. Non ci siamo accorti che è finita l’era di star zitti e giocare, perfino l’UEFA e la FIFA hanno invitato a non punire i giocatori che dovessero far sentire in campo la loro voce contro le discriminazioni razziali con una qualunque manifestazione, se non vogliamo chiamarla forma di protesta.
Peccato non avere tra noi un Marcus Thuram, che se ci fosse lo ius soli sarebbe cittadino italiano. Un ragazzo che si inginocchia, riscattando da solo un’intera categoria accusata di essere insensibile e privilegiata, fatta di ricchi e capricciosi. Quelli che vivono dentro la famosa bolla. Peccato non avere nemmeno un Marcelo. In ginocchio, con la testa bassa, il pugno chiuso alzato, i pensieri rivolti a George Floyd. La Premier League ripartita ieri sera con due recuperi, è diventata il campionato più impegnato grazie a due ventenni come Marcus Rashford e Raheem Sterling. Non c’è traccia di tutto questo nel calcio italiano. Come essere rimasti congelati dentro il mondo precedente. Eppure ce ne sono di traumi, ce ne sono di episodi di razzismo nelle cronache tristi del calcio italiano. Peccato. Qualcuno prima o poi rimedierà con gesti veri e forti. Ben oltre una semplice maglietta.

Factory della Comunicazione

CdS

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