Ulivieri, la sua paura e quella del calcio: “Ma bisogna ripartire”

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 «Se gli operai possono cominciare a tornare in una fabbrica come mi pare possa avvenire presto, è chiaro che pure i calciatori possono tornare su un campo di calcio. D’altronde, esiste una categoria meglio tutelata?»Renzo Ulivieri, presidente dell’Associazione Italiana allenatori, non è mai stato diplomatico né inizierà adesso che ha compiuto 79 anni. «Ho paura del coronavirus. Ma il mio vero timore è che questa paura mi rimanga addosso anche quando tutto finirà e che cambierà il mio modo di vivere».

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Ulivieri, la stessa paura che ha il calcio? «Se gli scienziati, le autorità sanitarie, diranno che si potrà tornare ad allenarsi, è giusto che nessuno si tiri indietro. Capisco la preoccupazione, capisco tutto, leggo dei timori di molti: ma se si seguiranno le indicazioni dei medici, sarà possibile riprendere la stagione. E per la gente vedere le partite sarà una gioia, anche per tutto quello che sta ancora passando. Se ci sono le condizioni per riprendere, il calcio deve riprendere. Anche per una questione psicologica o sociale. Ed è il prezzo che deve pagare per la sua popolarità. Ed è un bene che si continui a sperare che la serie A possa tornare…». 

Cosa è la paura? «È una sensazione strana, ho vissuto il dopoguerra e lì c’era una speranza di ripresa che accompagnava i nostri giorni. Ma ora vedo solo tanta oscurità attorno a me».

Le sue paure sono anche figlie della memoria? «In questi giorni torno a pensarci spesso, anche perché il campanile del duomo di San Miniato è qui, a pochi passi da casa mia. Era il 22 luglio 1944 ed ero sfollato con la nonna Amelia, la mia mamma e mia sorella Mara. Entrammo nella chiesa e degli ufficiali tedeschi chiusero la porta a chiave. Anche mia madre osservò la scena ed ebbe un presentimento. Io stavo in braccio alla nonna, ma mia madre mi prese e mi portò nel confessionale. “Vieni qui, gioca con la tendina”. Pochi minuti e sentimmo una esplosione. Fu una strage. La nonna morì con altre 55 persone e io ripenso spesso al mio destino. Perché noi ci salvammo».

I fratelli Taviani ne hanno fatto un film-capolavoro. Secondo lei chi fu il responsabile di quell’eccidio? «Molti hanno poi sostenuto che si è trattato di una bomba sganciata per errore dagli Alleati, ma io continuo a credere che furono le mine messe dai tedeschi. Poi a tutti piace discutere e riscrivere la storia».

E se fosse la grande occasione, questa enorme tragedia, per cambiare le cose? «Il mio timore è che si riparta con le logiche di prima. E quindi chi sta peggio ora andrà ancora peggio dopo. Ma davvero ci si illude che ci sarà chi capirà il senso delle cose accadute? La paura mia è chi sta male ora dopo se la caverà malissimo».

Il Mattino

 

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