Il precedente del 1988: Il comunicato della squadra contro il tecnico

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Maggio 1988, uno scudetto in tasca che scivola verso Milano La squadra denuncia una frattura ormai insanabile con il tecnico. «Premesso che siamo professionisti seri e che nessuno questo può negarlo…». Era un brutto giorno di maggio dell’88 quando prima Garella e poi De Napoli a nome di tutti lessero quel comunicato contro l’allenatore. «La squadra è sempre stata unita e l’unico problema è il rapporto mai esistito con l’allenatore, soprattutto nei momenti in cui la squadra ne aveva bisogno». Nessun dubbio: quella squadra campione d’Italia appena l’anno prima e con il secondo scudetto praticamente ricucito sulla maglia sino a tre partite dalla fine, ce l’aveva proprio con Ottavio Bianchi. E allora i giovanotti misero tutto per iscritto. Un foglio di quaderno rimediato nello spogliatoio, poche righe, cento cancellature e tante, tante correzioni. Soprattutto, però, in quelle poche righe, c’era il tentativo, improvvido, fanciullesco, di liberarsi delle accuse, degli improperi, degli sputi che riservava loro la Napoli del pallone delusa, arrabbiata, inviperita per il titolo incredibilmente e ignominiosamente consegnato al Milan di Arrigo Sacchi e con Ancelotti in campo. Serviva qualcuno sul quale scaricare tutte le responsabilità di quel fallimento, di quel crollo proprio all’ultima curva di un campionato dominato e quel qualcuno fu trovato nell’allenatore; il quale, a quel tempo, non era proprio un mostro di simpatia, ma soprattutto mal sopportava la fuga dalle regole di più d’un giocatore e non lo nascondeva.

 

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Ma perché quell’ammutinamento?

Perché quella alzata di scudi e di spade contro l’allenatore? Perché la squadra alla vigilia dell’ultima partita e a scudetto irrimediabilmente perso, crollò psicologicamente sotto il peso di accuse ingiuste e false. «Hanno venduto lo scudetto alla camorra che gestisce le scommesse clandestine. L’avesse vinto il Napoli, sarebbe saltato il banco della malavita organizzata, per questo hanno perduto apposta contro la Samp, la Fiorentina e soprattutto contro il Milan in casa». Eccola l’accusa infamante che metteva anche fisicamente in pericolo la squadra. Nel giro di una o due settimane, infatti, gli eroi azzurri del pallone si ritrovarono a non poter uscire più di casa. Perché, si sa la bugia, la maldicenza impiega niente a diventare verità.
Certo, ancora oggi c’è chi vuole credere a quella calunniosa tesi, ma trent’anni e passa dopo è giusto, necessario, ristabilire certe verità. È che il Napoli era crollato fisicamente sul finire di stagione. Quel Napoli, infatti, aveva in campo anche un Salvatore Bagni gladiatore, combattente, indomabile mediano, certo, però con un ginocchio fuori uso: praticamente con una gamba sola. E per la condizione atletica agli sgoccioli, non c’erano altri a correre un poco anche per lui. Terza ragione: la panchina di non grandissimo spessore. O, quanto meno, riserve non all’altezza di quei forti titolari e quindi assenza di ricambi. E poi, si capisce, quel Milan arrivato a quell’ultima curva a cento all’ora, oltre alle accuse e agli improperi. Se ne discuteva molto nello spogliatoio. Era diventata un’ossessione. Ma quello che la squadra proprio non mandava giù era la solitudine nella quale s’era ritrovata all’improvviso. Era l’essere stata lasciata sola in quei momenti incredibilmente complicati. Le responsabilità di quello scudetto regalato al Milan, così si ragionava in quello spogliatoio, erano di tutti: squadra, certo, ma anche allenatore e società. Invece alla fine il cerino acceso l’avevano lasciato nelle mani della squadra. Di qui quel comunicato che sull’onda della rabbia e della paura – perché no – condivisero tutti. Alla fine anche da chi non era certo della bontà dell’iniziativa. Tutti. Ma l’unanimità durò una notte. Già l’indomani, infatti, ci fu chi ci ripensò, chi prese le distanze, chi lo definì un errore, una ingenuità. E lo spogliatoio irrimediabilmente si divise. E perse la battaglia. La conclusione fu che quattro “senatori” – Bagni, Garella, Ferrario e Giordano – furono mandati via e che a Bianchi il contratto fu rinnovato per due anni ancora. E poiché la storia spesso si ripete…

Fonte: CdS

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