Da Sarri al Mazzarri bis: quando il cambio modulo paga e quando no. Conte sarà il prossimo?

Il tecnico leccese potrebbe riproporre il modulo che ha reso grandi le sue squadre

Da quando Maurizio Sarri si è seduto sulla panchina del Napoli ha impresso una fisionomia precisa alla formazione tipo degli azzurri, unendo concretezza a spettacolarità. Il tecnico toscano trovò la veste giusta al suo Napoli dopo alcuni tentativi a vuoto del 4-2-3-1, provando Insigne dietro la punta e Valdifiori titolare. Fu una sfida di Europa League contro il Bruges a dare la svolta e il passaggio definitivo al 4-3-3 con interpreti cambiati: il centrocampista italiano viene fatto sedere in panchina lasciando spazio a Jorginho, che non lascerà più il centro del centrocampo e diventerà il perno della squadra partenopea. Con un gioco spettacolare e improntato alla velocità di costruzione dal basso verso l’attacco, il Napoli di Sarri si plasma e diventa una macchina perfetta che agisce a memoria, con interpreti fissi che sanno bene dove si trovano tutti gli altri compagni e giocano a due tocchi. Poco cambia con l’addio di Higuain, perché sarà l’esplosione di Mertens prima punta a regalare un’evoluzione ulteriore al 4-3-3 di Sarri, con una partecipazione maggiore della punta alla costruzione del gioco.

L’addio del tecnico toscano, apre la strada a Carlo Ancelotti, che prima tenta di imitare il gioco e il modulo di Sarri, cambiando veste solo in Champions con una difesa a 4 che diventa a 3 grazie a Maksimovic terzino destro, poi passa al 4-4-2 che, se il primo anno porta a un secondo posto, nei successivi 6 mesi mostra tutti i suoi limiti: gioco sterile, attacco quasi mai pericoloso, fragilità difensiva e staticità in tutti i reparti. Gattuso proverà a rivitalizzare il Napoli con il 4-2-3-1, ma infortuni e prestazioni al di sotto delle possibilità degli azzurri, segneranno il suo anno e mezzo, con l’addio dopo il pareggio in casa contro il Verona: Napoli fuori dalla Champions e arrivo di Luciano Spalletti.

Il primo anno Spalletti ripropone un gioco sulla falsa riga di Sarri, ma votato di più alla verticalità per sfruttare le caratteristiche di Osimhen: con un 4-3-3 che sembra più un 4-2-3-1, avvicinando un centrocampista, se non c’è Mertens, al nigeriano, il tecnico toscano centra l’obiettivo fissato dalla società, il ritorno in Champions League, ma molte saranno le critiche dei tifosi che sognavano il terzo scudetto, in una stagione che vedrà il Napoli gareggiare quasi fino alla fine con Inter e Milan per il titolo. Il secondo anno, con un ricambio quasi totale della rosa, Spalletti passa al 4-3-3 puro e perfeziona la verticalità della sua squadra, affidandosi alla velocità di Osimhen e la fantasia di Kvaratskhelia, lasciato libero di svariare su tutto il fronte offensivo. La costruzione dal basso si fa più rapida e verticale, sfruttando gli spazi lasciati agli altri due centrocampisti (Anguissa e Zielinski) dai movimenti continui di Lobotka, sempre marcato a uomo, ma capace di comandare la squadra anche senza ricevere palla. Sarà scudetto, guadagnato con molte giornate di anticipo e, di fatto, prenotato già a marzo.

L’anno post scudetto vede il Napoli alternare diversi modulo: dal 4-3-3 di Garcia al 3-5-2 di Mazzarri, fino al ritorno al 4-3-3 di Calzona. Garcia dura pochissimo, poco amato da tifosi e squadra, mentre Mazzarri cerca di riproporre un gioco vicino a quello di Spalletti ma mancando della brillantezza atletica e rapidità di costruzione, oltre a essere un modulo da lui poco usato in carriera. Deciderà di tornare al 3-5-2 o 3-4-3, ottenendo una bella vittoria nella semifinale di Supercoppa italiana contro la Fiorentina (3-0): sembra un nuovo inizio, ma sarà solo un fuoco di paglia. Il Napoli perderà la competizione in favore dell’Inter e in campionato non arriverà la svolta. Svolta che nemmeno Calzona, conosciuto dai giocatori e con le stesse idee tattiche di Spalletti, darà: il suo gioco resta spettacolare e dinamico solo sulla carta, mentre in campo tutto ciò non arriva (unica eccezione un 6-1 contro il Sassuolo). Decimo posto in classifica e niente Europa dopo 14 anni.

L’arrivo di Conte porta molti a interrogarsi sul modulo che il tecnico leccese userà sulla panchina azzurra: il Napoli è una squadra che, anche sul mercato, è stata sempre costruita per il 4-3-3, mentre il nuovo allenatore preferisce moduli con la difesa a 3. Il mercato sembra confermare ciò e, effettivamente, il Napoli parte con un 3-4-3 che regala qualche successo, ma lascia la squadra spaesata. L’arrivo di McTominay porta Conte a rivedere le sue idee e, contro la Juventus, passa al 4-3-3, che nei fatti è un 4-4-2 perché lo scozzese viene spostato quasi sulla stessa linea di Lukaku. Vittorie e primato in classifica permettono al Napoli di mantenere questa vestite tattica, senza particolari acuti a livello di gioco, ma badando più alla concretezza e alla difesa del risultato. Dopo la sconfitta contro la Lazio, Conte cambia ancora pelle alla sua squadra e questa volta McTominay, vero ago della bilancia del suo Napoli, viene rispostato sulla linea dei centrocampisti, mentre l’inserimento nell’undici titolare di Neres permette al tecnico leccese di far giocare la sua squadra più in verticale sulle fasce, approfittando della rapidità di passo del brasiliano e la sua propensione a dribbling e assist.

Ora, però, dopo che gli infortuni hanno decimato la fascia sinistra, Kvaratskhelia è andato al PSG e le riserve non sembrano all’altezza dei titolari, Conte potrebbe pensare a un ulteriore cambio modulo, con un ritorno al 3-5-2 a lui tanto caro e che, curiosamente, diventò il suo tratto caratteristico proprio in una sfida contro il Napoli. Sabato avremo le nostre risposte. Chi vivrà, vedrà.

di Simona Ianuale 

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