Koulibaly, a Napoli lo accolse De Laurentiis: “Quindi sei tu Koulibaly? Ma non eri alto 1,92?… Mannaggia!”

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A cuore aperto, dalle colonne di The Players Tribune, il portale fondato dall’ex stella degli Yankees, Derek Jeter: Kalidou Koulibaly si racconta al CdS. Ricorda anche Lazio-Napoli , la sua prima a Napoli, la sua…vita. “Sono cresciuto in Francia in una città che si chiama Saint-Dié, dove c’erano tanti immigrati: senegalesi, marocchini, turchi. I miei genitori venivano dal Senegal… Giocavo tutti i giorni in un piccolo parco vicino a casa. Il campo era metà erba e metà cemento e spesso dovevamo fermare il gioco per lasciare passare le macchine. C’erano tantissimi immigrati nel quartiere quindi giocavamo Senegal contro Marocco, Turchia-Francia, Turchia-Senegal. Era come il mondiale tutti i giorni… Quando cresci in un ambiente del genere sono tutti tuoi fratelli. Eravamo neri, bianchi, arabi, africani, musulmani, cristiani, sì ma eravamo tutti francesi. Avevamo tutti fame, quindi si andava a mangiare tutti cucina turca, o venivano tutti a casa mia a mangiare piatti senegalesi. Eravamo neri, bianchi, arabi, africani, musulmani, cristiani, sì ma eravamo tutti francesi. Sì, abbiamo le nostre differenze ma siamo tutti uguali… Il calcio è un gioco che deve unire le persone, no? Ho girato il mondo grazie al calcio. Sono andato a Genk in Belgio e poi a Napoli in Italia. Ho imparato tante lingue e ho conosciuto tante persone. C’è un detto che recita: «Quando impari tutte le lingue, puoi aprire tutte le porte»… Prima di venire a Napoli ero in ansia perché non sapevo parlare la lingua e la gente parlava male della mafia e così via. Non ci ero mai stato, quindi non sapevo se raccontassero la verità. Quando impari tutte le lingue, puoi aprire tutte le porte. Ti racconto una storia divertente… Giocavo al Genk in Belgio e il mio amico Ahmed sarebbe venuto a stare da me per qualche giorno. Stavo aspettando che arrivasse in stazione quando ricevetti una chiamata da un numero sconosciuto. Era Rafa Benitez e mi fece un’ottima impressione. Dopo la telefonata chiamai subito il mio procuratore e gli dissi: «Fai tutto quello che devi fare. Andiamo a Napoli». Quando arrivai per le visite mediche il presidente De Laurentiis mi salutò, mi guardò un po’ storto e mi disse: «Quindi sei tu Koulibaly?». «Ma non eri alto 1,92?… Mannaggia! C’è scritto dappertutto che sei 1,92! Devo parlare con il Genk per avere dei soldi indietro!». Dissi io: «Nessun problema, presidente. Paghi pure il prezzo pieno, gli darò ogni centimetro in campo, non si preoccupi». Gli piacque molto questa frase…
Napoli è una città che ama la gente. Mi ricorda l’Africa perché c’è tanto affetto. La gente vuole toccarti, vuole parlarti. La gente non ti tollera, ti ama. I miei vicini mi vedono come un figlio. Da quando sono arrivato a Napoli sono un uomo diverso. Sono davvero tranquillo. La cosa più bella è che mio figlio è nato qui. Non mi scorderò mai di quel giorno… è tutto quello che amo di Napoli. Se la dovessi spiegare, non si capirebbe. Devi venire in città e la sentirai. È pazza sì. Ma calda. Forse mi conosci un po’ meglio ormai. Sì, sono un calciatore. Sono un calciatore nero. Ma non sono solo questo. Sono musulmano. Sono senegalese. Sono francese. Sono napoletano. E sono un padre. Ho girato tutto il mondo, ho imparato tante lingue e aperto tante porte. Ho avuto la fortuna di guadagnare tanti soldi. Ma ti ricorderò ancora della lezione più importante che ho imparato. Ci sono tre cose che non si possono comprare da nessuna parte: l’amicizia, la famiglia e la serenità. Lo abbiamo capito da bambini a Saint-Dié e voglio che anche mio figlio lo capisca.  Spero che un giorno lo capiranno anche quelli che mi fanno “buu”. Sì, forse siamo diversi. Ma siamo tutti fratelli”
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La Redazione

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