ESCLUSIVA di Neres al CdS: “CE LA MERITIAMO NOI”. «Il mio calcio è nato per strada»

«Sogno ancora  di giocare  il Mondiale  con la Seleçao»

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«Meritiamo noi la Supercoppa Careca idolo  di San Paolo  e di Napoli»

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Per essere quello vero, quello puro, Neres ha bisogno di David. Il bambino di San Paolo che gli ha insegnato a essere un giocatore speciale: il pallone e la strada, gli amici, mamma Maria che insisteva con lo studio e papà Miguel che sarà orgoglioso leggendo che non ha mai dimenticato tutto quello che gli hanno insegnato. David, il ragazzino che declina ancora la vita di Neres sulla scia dei sogni e di una Ginga che ha ispirato intere generazioni di calciatori brasiliani di periferia e da Mondiale, vince perché si diverte. Il suo calcio è gioia. È un sentimento che straripa e va oltre la pressione di una finale: oggi ne vivrà una con il Napoli, a sette mesi dallo scudetto, ma in carriera ne ha già giocate tre. Tutte con l’Ajax: due vittorie in Coppa d’Olanda, una sconfitta in Europa League.

 
Insomma, lei sa come si fa in questi casi. Però è la prima volta che si gioca una coppa con il Napoli: più emozionato o focalizzato?  
«Penso di essere un po’ emozionato e anche molto concentrato. Giocare per vincere un trofeo è bello, è molto speciale. Una finale è una partita diversa dalle altre. E conta solo vincere».

Il Napoli, in questo momento, ha due fulmini pronti a scatenare la tempesta: Hojlund e Neres. Una coppia super.
«Il concetto vincente è sempre il collettivo: quando si gioca da squadra e tutto funziona è più facile per i singoli emergere. Le vittorie sono il merito del buon lavoro del gruppo e io credo che tutto il Napoli, giocatori e allenatore, stiano lavorando bene».  

Piccolo viaggio nel tempo: 9 novembre, 43 giorni fa, Bologna-Napoli 2-0.  
«Quella sconfitta ci colpì duramente. Abbiamo sofferto, è stato davvero difficile digerirla. Per fortuna arrivò la sosta: in quelle due settimane abbiamo avuto tanto tempo per allenarci e per riflettere sui nostri errori e sulle cose giuste».

La prima settimana senza Conte.  
«Sì, ma poi siamo tornati in campo con una mentalità e un modo di giocare nuovi: è andato tutto bene. Soprattutto perché poi ne abbiamo vinte cinque di fila: se non vinci, nulla cambia sul serio. E invece, quelle vittorie ci hanno restituito fiducia e ci hanno rilanciato. E ora ci godiamo la finale».  

Insisto su Conte: una volta, lei ha detto di non aver mai corso tanto in vita sua come con lui. È cambiato qualcosa?
«No, no, tutto uguale. Ma ora, con due partite alla settimana, non è più possibile allenarci così tanto. Lo facciamo quando si può».

Una delle frasi più citate alla vigilia di una finale è di Eto’o: «Non si giocano, si vincono».  
«Sono d’accordo al cento per cento: quando smetti, le persone ricordano soltanto i trofei della tua carriera. E quindi, il Bologna vuole vincere e noi vogliamo vincere».  

Sarà la rivincita?
«Non abbiamo dimenticato, ma questa è una partita completamente diversa. È una finale e abbiamo un pensiero fisso: rispetto moltissimo il Bologna, ma siamo qui per vincere».

Contro il Milan è parso chiaro a tutti. A proposito: dopo i gol, lei e Hojlund avete abbracciato Lukaku in panchina.
«Romelu è quello che mi ha dato più fiducia, più sicurezza da quando sono arrivato al Napoli. Parliamo tanto: ha sempre cercato di tirarmi su e mi ha sempre ricordato quanto sono forte. L’ho apprezzato molto e mi è venuto spontaneo correre da lui».

Quanto manca Big Rom al Napoli?  
«Manca come gli altri giocatori incredibili che sono infortunati».

Nel 1990, un paulista come lei fu decisivo nella prima finale di Supercoppa vinta dal Napoli con la Juve: Careca. Una leggenda.  
«Prima di una vecchia sfida con il Milan ho avuto la possibilità di parlare con lui e di abbracciarlo: gli ho detto quanto significasse per me e per gli altri. Ma soprattutto per me che sono di San Paolo e gioco nel Napoli».

Lei è nato molti anni dopo la sua magnifica epopea napoletana.  
«Non l’ho mai visto giocare ma ho sempre chiesto a mio padre, tifoso del San Paolo, e alle persone più grandi che conosco. Tanti amici tifano San Paolo e Careca è stato uno dei più forti della storia del club. Sapere che ha giocato con il Napoli è molto speciale».  

Com’era la sua vita in Brasile? 
«Da bambino pensavo solo a giocare a calcio per strada. Ma studiavo, mia madre non faceva eccezioni».

Un bellissimo film dei fratelli Zimbalist racconta la scalata di Edson Arantes do Nascimento: da Dico a Pelé. Anche lui giocava per strada con gli amici. Era il trionfo della Ginga: talento e istinto puri.  
«È il modo in cui sono cresciuto anche io: tutti i bambini giocavano in strada ed è così che ho acquisito la Ginga. Penso che mi abbia formato come calciatore: ho cominciato molto presto nel San Paolo, avevo dieci anni e ho subito dovuto imparare la disciplina, ma penso che la cosa più importante sia stata giocare in strada fin da piccolo».

A vent’anni, poi, l’Ajax.  
«Le regole al San Paolo mi hanno aiutato: non potevo fare le stesse cose dei miei coetanei, ma quando sono andato in Olanda ho sfruttato quel bagaglio. Andare così presto in un club mi ha fatto diventare un uomo e un giocatore migliore». 

Il suo calcio è sempre la stessa gioia. Lei dà l’idea di divertirsi.
«Cerco di farlo il più possibile».

E fa divertire la gente. 
«Quando non mi diverto, penso di non poter dare il meglio di me. Ovviamente bisogna concentrarsi e fare sul serio, e a volte non riesci a divertirti molto perché c’è da pensare alla tattica. Ma se non ho questa sensazione, non è la stessa cosa».

Raramente il suo calcio non sorride. Lei fa felici i tifosi del Napoli e gli appassionati. È un idolo.
«È una parola davvero grossa, ho ancora tanta strada da fare. Però avverto molto l’amore e il sostegno dei napoletani. Mi fanno felice».

Ha conosciuto anche l’amarezza, però: un brutto infortunio con l’Ajax, nel momento migliore della carriera, appena entrato nella Seleçao. 
«Sì, anche da bambino ho avuto un percorso molto lungo e difficile. E da professionista ci sono stati momenti in cui lo spirito era diverso».
 
Perché Neres non è più tornato nella Seleçao?  
«In Brasile abbiamo tanti grandi giocatori. Io cerco di fare del mio meglio per il mio club».  

Però ci crede ancora: il Mondiale è un sogno possibile?  
«Sì. Come dico sempre: se fai bene con la tua squadra, il resto viene naturale».

E la Supercoppa? Per chi proverete a vincerla?  
«Giocheremo per i tifosi che sono fantastici, per i compagni infortunati, per le nostre famiglie, per tutti. Ma soprattutto per noi stessi che siamo in campo e lavoriamo molto duramente ogni giorno. Ce lo meritiamo».  

Quanta strada negli ultimi anni: nel 2022 le bombe in Ucraina e la rinuncia allo Shakhtar, nel 2025 lo scudetto e la finale.  «Le bombe le ho sentite a Donetsk: erano davvero vicine all’hotel. Però la mia storia e la mia educazione mi hanno aiutato: da piccolo mi svegliavo alle quattro e prendevo un autobus per andare ad allenarmi, ma un paio di mesi fa, parlando con mio padre, ho capito che non era niente. Niente: mi ha raccontato le sue storie, di come lavorava con i genitori nei campi a dieci, dodici anni. Questo era davvero difficile, io non ho fatto niente rispetto a quello che hanno fatto mio padre e mia madre».

Lei sogna ancora? 
«Sogno di migliorare ogni giorno di più. Anche per la nazionale: ripeto, se fai un buon lavoro quotidiano, il resto verrà da sé».  

Crede ancora nella qualificazione agli ottavi di Champions? 
«È difficile, ma non è impossibile. Ora, però, siamo concentrati solo sul Bologna. Nella mia mente c’è solo il Bologna».  

Sacrosanto. Sarà una sfida piena di esterni. In attacco e in difesa.
«Loro hanno tanti ottimi calciatori. Giocando da ala, mi scontro sempre contro i terzini e quello destro del Bologna è uno dei migliori che abbia mai sfidato. Lo dico sempre ai miei compagni. Ora mi sono spostato a destra, magari può andare meglio… Chissà».

Le piace la vita a Napoli?  
«Molto, mi ricorda il Brasile: bellissimo clima, cibo ottimo. Non ho nulla di cui lamentarmi».

Piatto preferito italiano e brasiliano. 
«In Italia la pasta, la amo. In Brasile riso , fagioli e manzo. Potrei mangiarlo ogni giorno».  

Cosa ha scoperto dell’Arabia?  
«Non abbiamo avuto modo di visitare per bene Riyadh. È stata la mia prima volta, ma da quello che ho visto mi piace molto».  

Senta, lei custodisce un segreto che stuzzica notevoli curiosità: vogliamo svelare il nome dell’uccello che mima quando fa gol? 
«Io in portoghese lo chiamo Corvo Negro. Significa il corvo nero».

Quando ha deciso di festeggiare così?
«Da bambino, quando giocavo con i miei amici in Brasile. E dopo tutti questi anni ho deciso di rifarlo». 

Lei e Lang siete inseparabili, vi chiamano Mimì e Cocò: perché?  
«Lasciamo stare, meglio non parlare di loro. Anzi, ora vado: mi sta aspettando».

Tutto vero: Lang è alle sue spalle, scherzano, fanno finta di offendersi. Si abbracciano. Mimì e Cocò in finale

 

 

Fonte; CdS

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