Silenzi a Il Mattino: “La mia Supercoppa al San Paolo? Una serata magica”
Andrea Silenzi, ex calciatore del Napoli, ha parlato in un’intervista a Il Mattino, dove fra le altre cose ha ricordato il suo periodo in azzurro condiviso con Maradona e Careca.
“Supercoppa italiana, Silenzi: «Quei due gol contro la Juve mi hanno reso immortale» L’ex attaccante protagonista nel 1990: «A distanza di anni si ricordano tutti di me per quella gara» Si dice che spesso nel nome ci sia un destino. E infatti Andrea Silenzi è uno a cui piace parlare poco. Soprattutto quando si tratta di quel pallone che ha fatto parte della sua prima vita. Oggi che l’ex attaccante è diventato un imprenditore nel campo dell’immobiliare, c’è poco spazio per il calcio, salvo una singola eccezione: Christian suo figlio che gioca (e segna) con la maglia del Cjarlins Muzane in serie D.
Eppure basta chiedere a qualunque tifoso del Napoli per sovvertire l’ironia di quel cognome: dici Silenzi tutti iniziano a parlare, della Supercoppa vinta nel 1990 con una doppietta di Pennellone, «Un soprannome che mi ha sempre fatto sorridere: sapevo fosse una cosa affettuosa dovuta alla mia altezza che all’epoca spiccava».
Ma come se la ricorda quella notte di Supercoppa? «Era la mia prima partita ufficiale al San Paolo e a distanza di anni ricordo ancora un pubblico incredibile. Non si riusciva nemmeno ad arrivare allo stadio da Soccavo tanta era la gente in strada. Fu una serata magica. Avevamo preparato ogni dettaglio e poi ci girò tutto a favore mentre i meccanismi della Juve erano ancora da rodare».
Il mattatore fu lei… «Mi ritengo davvero fortunato. La mia esperienza a Napoli è ancora oggi legata a questa partita rimasta nella storia. Vincere con la Juve con uno scarto così largo non era e non è facile».
In quel Napoli c’erano Maradona, Careca, Alemao, ma per i napoletani resta la Supercoppa di Silenzi. «Quella sera sono stato bravo e fortunato. Perché oltre a fare due gol sono riuscito anche a servire un assist a Careca. Era un’azione che avevamo provato in allenamento. Bigon prima della partita mi aveva detto di svariare anche sulla fascia e su un movimento del centro ho infilato la difesa bianconera che saliva male per fare il fuorigioco. Sono contento di essere nella memoria dei tifosi perché i miei anni a Napoli non sono stati scoppiettanti, ma ho lasciato il segno in quella partita».
Cosa voleva dire per lei arrivare nello spogliatoio dove c’era Maradona? «Mi sono trovato molto bene fin da subito. Tutti mi hanno accolto alla grande anche se ho avuto delle difficoltà soprattutto il primo anno».
Supercoppa Italiana Napoli-Milan, la conferenza di Allegri: «Conte in difficoltà tira fuori sempre il meglio» Come mai? «Era andato via Carnevale e Bigon mi chiedeva di giocare nella sua stessa posizione nel tridente. Ma io a Reggio Emilia facevo la punta centrale e sulla fascia facevo fatica dovendo correre tanto all’indietro. Fu più facile l’anno successivo con Ranieri perché giocavamo con due punte. Poi alla fine della stagione ci fu l’occasione di andare al Torino e la presi al volo».
Nel suo primo anno a Napoli ha vissuto anche l’addio di Maradona… «Quando andò via, la squadra subì una flessione. Lui veniva da un periodo un po’ complicato, ma per noi tutti era un punto di riferimento, si spendeva sempre per il gruppo. La squadra lo amava per questo. Era una persona generosa e allo spessore spessore artistico incredibile in campo univa l’essere un uomo meraviglioso anche fuori. Quando vivi le cose non le comprendi del tutto. E infatti per certi momenti giocare con Diego era diventato parte della normalità, anche se si vedeva che incarnava qualcosa di diverso. Ammetto di averlo realizzato quando ho smesso e ho capito la fortuna che ho avuto».
A proposito di fine carriera, da quando ha smesso è sparito dai radar… «Dopo una piccola esperienza come responsabile del settore giovanile della Cisco Roma ho accelerato la fine della mia carriera perché avevo altri progetti. Sono diventato imprenditore nel campo immobiliare. Il bello del calcio è starci dentro, fuori è dura».
Come mai questa scelta di vita? «Quando giocavo avevo anche pensato di poter insegnare qualcosa ai più giovani, ma poi ho capito che adesso è un altro mondo. Quando ero piccolo le società venivamo aiutate per la crescita e lo sviluppo dei ragazzi, ma adesso ci sono tutte scuole calcio con parametri diversi. Quando ho capito che le cose stavano così è venuta fuori un’altra opportunità di lavoro dove potevo mettermi in gioco e non dipendevo da nessuno e mi ci sono buttato a capofitto».
Ma il calcio è ancora un affare di famiglia per voi Silenzi… «Più che altro è rimasto nel nostro Dna, con mio figlio Christian. È un professionista vero pur giocando in serie D, ha una grande motivazione. Si sta prendendo delle belle soddisfazioni e da genitore sono felice che abbia trovato il suo equilibrio e la sua strada. Non è semplice vivere all’ombra di un papà ex calciatore e infatti io cerco sempre di essere quasi inesistente».
E anche Christian è un attaccante. «Ma con caratteristiche diverse dalle mie. Quando lo vedo giocare penso che saremmo stati un’ottima coppia ben assortita, un tandem d’attacco completo: io più da area di rigore, lui più di movimento».
