Puzone, ex Napoli e amico di Maradona: “Diego è stato come un fratello”.
Pietro Puzone, ex calciatore del Napoli, ed amico di Diego Armando Maradona, ha parlato in un’intervista a La Gazzetta dello Sport.
“L’ex stellina del Napoli e l’amicizia col Pibe de Oro: “Nel fango di Acerra segnò un gol come quello all’Inghilterra, fece pure gol di mano ma il vigile urbano che arbitrava se ne accorse. Una volta ci fermarono i vigili in Ferrari, temevamo una multa ma volevano farsi una foto. E A Las Vegas…” Pietro Puzone ha attraversato il buio disteso su una gelida panchina di cemento. È stato campione d’Italia con il Napoli nel 1987 e migliore amico di Maradona in azzurro.
Ha vissuto una vita da film, tra storici trionfi ed eccessi smisurati: “Ho lasciato il calcio a 27 anni. Per tutti avevo talento, ma non riuscivo gestirlo. A fine carriera ho continuato a lavorare come osservatore, poi mi sono perso. Avevo problemi di dipendenza, ero diventato un clochard. Sono uscito dal tunnel grazie all’aiuto della famiglia e dei miei ex compagni di squadra”.
A cinque anni dalla morte del Pibe de Oro, Puzone ricorda con tristezza quel 25 novembre 2020: “Avevo appena terminato il lungo ricovero in clinica. Guardavo la tv, all’improvviso annunciano la notizia. Non ci credevo, ho pianto dal dolore. Per me, Diego è stato come un fratello”.
A Napoli eravate sempre insieme, durante gli allenamenti e non solo. “Sono cresciuto nelle giovanili azzurre, ero un’ala destra promettente. Ho debuttato nel 1982 contro il Cesena. Due anni dopo è arrivato Maradona, mi chiamava affettuosamente Pedro. In campo era un genio, lo abbiamo visto tutti. Fuori invece è sempre stato un gentiluomo. La famosa partita di beneficenza ad Acerra è l’esempio perfetto”.
Fu lei ad organizzarla. “Sono nato e cresciuto in città. Conoscevo la famiglia Quarto, il piccolo soffriva di una malformazione al labbro che rischiava di aggravarsi. Per l’intervento chirurgico avevano bisogno di 64 milioni di lire. Era il 18 marzo 1985, il giorno prima avevamo giocato con l’Atalanta: 1-0, gol di Bertoni su assist di Maradona. Diluviava, l’arbitro era un vigile urbano. Ferlaino si infuriò per quella decisione. Non raggiungemmo la cifra prevista con l’incasso dei biglietti, Diego staccò un assegno per pagare la restante parte”.
In quella partita nel fango Maradona segnò due gol stupendi. “Mi consegnò pure la fascia da capitano. C’è un video che gira ancora sui social: Diego dribbla tutti e arriva con il pallone fino in porta. Come il gol del secolo realizzato contro l’Inghilterra al Mondiale in Messico due anni dopo. Ad Acerra riuscì pure a trovare la rete con la mano, ma in quell’occasione l’arbitro se ne accorse e annullò”.
Purtroppo, in campo, Puzone e Maradona si sono incrociati pochissimo. “Lui era il calciatore più forte al mondo, io un giovane che pensava soltanto a divertirsi. Non ho saputo gestire il mio talento, ho perso tutte le occasioni. Al Napoli giocavo poco. Ero sempre in giro di notte con Diego, quante ne abbiamo combinate insieme”.
Ce ne racconti una. “Durante un giorno libero prendemmo la sua Ferrari e andammo a Roma. Stavamo sfrecciando in autostrada, all’improvviso dallo specchietto retrovisore vedo le sirene. Dico a Diego di accostarsi. I poliziotti si avvicinano, pensavo ci volessero fare una multa. Invece chiesero soltanto di scattare una foto con Maradona”.
È vero che di ritorno da una trasferta non avevate più neppure i soldi per pagare la benzina? “Giocammo contro la Samp di Vialli e Mancini. Domenica notte eravamo già a Roma, girammo i migliori locali della città. Ci piaceva ballare, divertirci. Con Diego sapevi a che ora uscivi, ma non quando tornavi a casa”.
Bianchi accusava lei tutte le volte che Maradona non si presentava agli allenamenti. “Spesso abbiamo infranto le regole, ma Diego non aveva bisogno di allenarsi. Era un fenomeno, vinceva le partite da solo”.
Era tra gli invitati del matrimonio di Maradona e Claudia Villafane in Argentina. “Organizzarono un aereo per gli amici da Napoli. Con Maradona sono stato pure a Las Vegas, facemmo scalo a New York. Durante il controllo passaporti si accorsero che quello di Diego era scaduto. Non volevano farci passare. Intervenne il suo primo manager Jorge Cyterszpiler: chiamò addirittura un membro dello staff di Ronald Reagan, in quel periodo presidente degli Stati Uniti. Certe cose potevano succedere soltanto insieme a Maradona…”.
Dopo lo scudetto ha giocato tra Catania, Spezia e Ischia prima del ritiro. “La vita mi ha presentato il conto. Ho trascorso anni oltre il limite: l’eccessiva popolarità da calciatore, i guadagni facili, i vizi. Non ero preparato ad affrontare una situazione simile. Me ne sono reso conto presto. Ho continuato a lavorare come osservatore per alcune scuole calcio della provincia di Napoli. C’era però qualcosa che non andava”.
Cioè? “Le dipendenze mi hanno trascinato in un baratro profondo. Fino a qualche anno fa vivevo su una panchina, continuavo a bere. Ero diventato un clochard. Mi sono trascurato, non davo importanza più a nulla”.
Come ne è uscito? “Grazie all’amore e al sostegno di chi mi è sempre stato vicino: la famiglia, gli amici, i miei ex compagni di squadra. E Diego”.
Aveva saputo della sua situazione difficile? “Sì, anche se negli ultimi anni ci siamo visti e sentiti meno. Prima di lasciarci però mi ha detto una frase cui ripenso ogni momento: ‘Pietro, devi salvarti’. Se adesso sono qui è anche grazie a lui. Da lassù, non mi hai abbandonato”.
