«Qualcuno ora osa dire che il suo infortunio può essere un vantaggio, ma è fantastico, su questo mi arrendo. Chi lo dice, meriterebbe l’Oscar». Dal post partita di Lecce sono passati dieci giorni, eppure sembra una vita. Antonio Conte parlava di Kevin De Bruyne, fermatosi pochi giorni prima dopo il rigore con l’Inter. Giorni di ordinaria follia nelle valutazioni fuori dal campo. E infatti, ancora una volta, l’allenatore azzurro ci ha visto lungo. Purtroppo lunghissimo. Quanti gol sono arrivati tra Lecce, Como, Eintracht Francoforte, le tre gare giocate con il belga ai box? Una.
Da un calcio piazzato con Anguissa proprio in Salento quella notte. In una settimana o poco più si è già capito l’impatto che De Bruyne aveva avuto sugli azzurri, elevandone lo spessore in campo e trascinando fuori, nello spogliatoio. Una leadership calma, silenziosa, persino umile, propria di chi si era già calato ampiamente nella realtà.
La squadra di Conte ha segnato fin qui 20 gol nelle 14 partite giocate tra Campionato e Champions League. In 6 di questi c’è lo zampino di De Bruyne tra gol e assist: praticamente il 30% delle marcature arrivavano da sue invenzioni o dalla freddezza sul dischetto. Tutte reti da calcio da fermo tra rigori e punizioni, certo, ma anche la capacità di inventare per gli altri, vedere cose e giocate che pochi altri riescono a vedere. In Europa, non solo a Napoli.
Anche per questo la sua assenza sta pesando. Sempre ripartendo dai 20 gol segnati fin qui: 16 di questi sono arrivati mentre il belga era in campo. Ad eccezione dei gol di Anguissa – contro Cagliari, Inter, Lecce – e di quello di McTominay contro la squadra di Chivu al Maradona, il Napoli ha sempre trovato la via del gol con Kevin presente. Un aiuto, una marcia in più. E una assenza che ora si sente eccome.
