Hojlund torna al centro dell’attacco, dalla tribuna sarà seguito dal belga

Il danese si riprende la maglia da titolare dopo 4 partite

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Ma se valgono le statistiche (e certo che qualcosa dicono), ci sarà pure una differenza tangibile tra un centravanti vero, autentico, che sia antico o moderno cambia poco, e un cosiddetto falso nueve: Rasmus Hojlund s’è presentato a modo suo, manco il tempo di vestirsi da principe azzurro e a Firenze, al debutto, al minuto 14’ dei suoi 73’ complessivamente giocati, già l’aveva buttata dentro. Come un Cavani qualsiasi, come un Higuain primissima maniera (beh, anche la seconda e la terza non fu niente male) o come un Lukaku, per restare in tema e dentro i tempi moderni. Poi, andando avanti, s’è tenuto in media: sei partite, quattro gol, e se non si fosse fermato alla vigilia della sfida con la Fiorentina, boh, vai a capire cosa avrebbe combinato! Gli attaccanti sanno come raccontarsi, lo dicono a parole loro: dategli un pallone nel centro dell’area, semmai anche fuori, e loro vi ribalteranno lo scenario, da così a così. Hojlund rientra nella categoria dei bomber che non si negano niente, è scritto nella sua “biografia”: con l’Atalanta, se ne è andato per dieci volte (in 34 gare) braccia al cielo, per godersi la brezzolina carezzevole del venticello. A Manchester, dentro un biennio terribile (per gli altri), 26 autografi personali, in 95 partite, un modo semplicissimo per tenersi il palcoscenico un po’ per sé, avvertire il fascio di luce addosso e ritrovarsi così poi a Napoli.

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L’impatto

Pronti, via, ed Hojlund s’è sbarazzato immediatamente di qualsiasi pregiudizio di facciata, ha sistemato in archivio il sospetto che a Manchester si fosse un po’ impigrito, ha rimesso la propria natura al centro del dibattito e si è impadronito del cuore di Napoli: ai centravanti, da sempre, è dedicato un affetto assai speciale, non fosse altro perché alimentano sogni. Hojlund ha spaccato la gara di Firenzec’era già nell’1-0 dal dischetto di De Bruyne – e poi ha demolito le preoccupazioni post Manchester con due spallate due allo Sporting Lisbona; ma, affinché la felicità non evaporasse in fretta, quando la sfida con il Genoa s’era “avvelenata”, con l’aiuto di Anguissa l’ha ribaltata. I gol si contano, ovvio, però a volte si pesano anche, e sulla bilancia del campionato RH è il fattore positivo d’una squadra che segna poco, adesso forse il giusto, che in casa sa come trasformarsi diventando cinica, persino spietata, talvolta esagerata: dieci gol in quattro partite – tra campionato e Champions – rappresentano una polizza assicurativa e ora che il Como s’avvicina, con la danza del suo calcio fascinoso, al centro del tridente di Conte c’è bisogno di un uomo che sappia cosa dire nel momento più giusto, più propizio o anche no. A Lecce, il piano di avvicinamento s’è completato con una mezz’ora necessaria per sciogliere i muscoli (una volta affaticati) e riacquisire il ritmo-partita. Ma domani, si rifà sul serio e dall’inizio.

Big Rom lo guarda

                           

E quindi, si ricomincia da tre, Politano a destra, Hojlund in mezzo e Neres a sinistra, e solo un pizzico di prudenza potrebbe indurre Conte a cambiare, puntando eventualmente su Elmas a sinistra e sul brasiliano a destra: ma là davanti, almeno sino a quando non si entrerà nel pieno d’una vigilia da arricchire con ulteriori argomentazioni tattiche, il Napoli che va incontro al Napoli sa di antico, d’una tendenza a rispettare ciò ch’è divenuto una specie di marchio di fabbrica, che Romelu Lukaku guarderà dall’alto. Big Rom “debutta” al Maradona nella veste di spettatore interessato, di centravanti infortunato, di leader morale d’una squadra che silenziosamente tenta di bissare se stessa. Hojlund è il valore aggiunto, va a sistemare di suo la propria capacità ad attaccare lo spazio, a riempire i sedici metri, ad allungare o ad accorciare il campo, secondo una vocazione che gli appartiene dall’adolescenza e che ovviamente poi ha sviluppato ulteriormente (per non far rimpiangere Lukaku).   Fonte: Gazzetta

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