Saviano: “La solitudine si attenua parlando di Napoli, di Maradona, e di calcio”
Queste le parole di Roberto Saviano e sul suo rapporto con il Napoli
Sul palco dell’Auditorium Santa Chiara di Trento, per un’ora intensa al Festival dello Sport, Roberto Saviano si è raccontato senza filtri. Un monologo intimo, tra ricordi personali e passioni calcistiche, in cui la solitudine, compagna di una vita sotto protezione, diventa quasi una presenza amica.
«La solitudine è l’assenza di testimoni nella propria vita, l’impossibilità di condividere emozioni» – ha detto Saviano – «ma su un palco come questo cambia volto. Diventa il piacere di ascoltare il respiro della gente, di percepire le loro reazioni, quasi di annusarli. È una carezza».
Lo stadio, il padre, Maradona: la bandiera cambia colore
Uno dei momenti più intensi arriva con il racconto di Italia-Argentina, semifinale dei Mondiali 1990. Saviano ricorda la serata vissuta allo stadio San Paolo da bambino, avvolto in una bandiera azzurra. La partita cambia, pareggia Caniggia e il pubblico napoletano, diviso, inizia a fischiare. Suo padre prende posizione:
«Si alza e grida “Diegooo”, e mi dice: che te ne fai ora di quella bandiera? Da quel momento, si tifa per Maradona. È la nostra Patria».
Gli scudetti del Napoli: «Il primo ci ha resi vincenti, il terzo ha colmato un vuoto»
Saviano ha celebrato i tre titoli del Napoli, ma due in particolare:
«Il primo è stato lo spartiacque, ci ha introdotti nel mondo dei vincenti. Il terzo ha restituito una condizione di orgoglio dopo 33 anni di attesa. È stato un riscatto per intere generazioni».
Allenatori e gratitudine: «Bianchi asceta, Spalletti artista. Conte? Regalaci il bis»
Il suo preferito? Ottavio Bianchi:
«Un uomo freddo, essenziale. Capace di gestire l’anima calda della città. Conosceva Napoli da calciatore e l’ha guidata da maestro».
Poi Spalletti, per lo spettacolo offerto. E un pensiero anche per Bigon e Conte:
«Conte, ci regali il bis?».
Maradona: più di un giocatore, una presenza sacra
«Il più forte, il più bello, il più incredibile. Non si allenava molto, ma bastava vederlo in campo il mercoledì, quando le scuole si svuotavano. Il suo legame con Napoli era sacro».
I preferiti: Lobotka l’intellettuale, Hojlund la sorpresa
Saviano ha una predilezione per Lobotka, che però lo preoccupa:
«È l’intellettuale in campo, ma ora sta giocando sotto i suoi standard. Forse ha solo bisogno di rifiatare».
E poi c’è Hojlund, che lo ha conquistato:
«Mi ha fatto dimenticare la paura per l’infortunio di Lukaku. È un vero centravanti, sente la porta come pochi».
I ricordi: Cavani, Lavezzi e la foto simbolo dell’infanzia
«Non dimenticherò mai Cavani. E nemmeno Lavezzi: con gli argentini abbiamo un’empatia speciale».
E l’immagine più vivida dell’infanzia?
«Il gol di Maradona da centrocampo contro il Verona. L’ho visto a metà, mio padre nell’euforia mi ha scaraventato in terra».
La delusione più grande: lo scudetto del 2018
«Perso in albergo, dopo la rimonta della Juve sull’Inter. Ma Sarri ci ha fatto vedere un calcio meraviglioso, era uno spettacolo continuo».
Un sogno “piccolo”: due scudetti di fila
«Un altro scudetto, subito. Due di fila significherebbe mostrare che siamo davvero una forza. E De Laurentiis sta lavorando per esserlo: si vede da come ha costruito la squadra».
Champions e speranze: «La sconfitta col City mi ha scosso»
«Contro il Manchester City siamo stati travolti, anche se eravamo in dieci. Ma la vittoria sullo Sporting Lisbona mi ha ridato fiducia. Aspetto il PSV per continuare a sperare».
Saviano, il Maradona e la solitudine che svanisce
«La solitudine si dissolve quando vado allo stadio Maradona. O anche solo guardando una partita del Napoli. Non è semplice, ma mi piacerebbe davvero tanto».
Tra parole, memoria e pallone, Roberto Saviano ha regalato al pubblico un’ora di emozioni sincere, dove il calcio è stato molto più di un gioco: è stato voce, identità, resistenza e sogno.
