Non firma spesso il tabellino dei marcatori, ma quando manca si sente eccome. Stanislav Lobotka è l’anima nascosta del Napoli: gioca quasi sempre, e quasi sempre bene. I numeri lo confermano: è ai vertici delle classifiche per palloni toccati, passaggi riusciti, chilometri percorsi e recuperi.
Non è un mediano classico da intervento disperato, piuttosto un maestro dell’anticipo e della posizione. Si muove in modo intelligente, si propone tra le linee, accorcia sui difensori, accompagna gli esterni. Quando ha la palla tra i piedi, trasmette calma e pulizia. La sua finta di corpo, ha raccontato lui stesso, è l’arma segreta per mandare fuori tempo l’avversario e aprirsi spazi dove non sembravano essercene.
Lobotka preferisce il gioco corto e ragionato, ma quando serve sa anche rompere la linea e puntare centralmente. Così sono nati due momenti decisivi: l’assist a Billing contro l’Inter, considerato da molti il gol simbolo dello scudetto, e la percussione che ha portato al gol di Anguissa contro il Cagliari.
Non segna molto – appena due reti in oltre 200 presenze – ma la sua firma è inconfondibile. Lontano dai riflettori, ma fondamentale. Un titolare inamovibile, il play su cui il Napoli ha costruito gran parte dei suoi successi recenti.
