Il Napoli è un codice identitario che la città riconosce al volo. I colori dicono già molto: azzurro e bianco richiamano mare e cielo, due presenze costanti del golfo alle spalle del Vesuvio. Da oltre un secolo, simboli e colori creano un racconto che unisce calcio, storia della città e immaginario popolare. Al centro, un simbolo inatteso per chi arriva da fuori e non conosce la storia della squadra di calcio: l’asinello, il “ciuccio”. Perché proprio lui? La risposta ha a che fare con la tradizione.
Colori, lettere e stemmi: l’identità visiva degli azzurri
La “N” che campeggia nello scudetto nasce negli anni Trenta per distinguere con chiarezza l’Associazione Calcio Napoli. Torna poi in primo piano all’inizio dei Settanta, su impulso del presidente Ferlaino, dopo alcuni tentativi di richiamo araldico al Regno delle Due Sicilie non graditi alla Federazione.
La palette resta fedele alla tradizione: azzurro dominante, bianco per pantaloncini e altri dettagli. È un design essenziale che permette ai tifosi di riconoscere il club in ogni contesto, dalle maglie alle bandiere. In questa situazione, la mascotte ha il compito di umanizzare il simbolo e di portarlo all’interno della cultura popolare.
I simboli nel calcio di oggi
In un sistema sportivo che vive di media, le mascotte diventano determinanti. Anche riferimenti a piattaforme e contenuti calcistici aiutano a leggere il presente. E qui entrano in gioco i siti specializzati nelle tematiche sportive, consultati dai tifosi quando cercano dati in tempo reale o rubriche di approfondimento su tattiche e storie di campo.
Le cronache contemporanee sono ricche di interviste, statistiche e spunti che circolano tra canali ufficiali e testate verticali. In questo flusso, capita che un commento apra strade interpretative nuove.
In particolare, uno tra i più noti siti di scommesse sportive live ha ospitato un’intervista all’ex attaccante Thierry Henry. L’allenatore ha parlato della sua esperienza internazionale, con delle dichiarazioni interessanti su Arsenal e Manchester United, oltre che sulla Premier League. Un contenuto che mostra come il racconto calcistico si costruisca sempre più in spazi che integrano informazione e intrattenimento.
1926: la nascita del club e il “cavallo inalberato”
Ma torniamo al Napoli. Il Calcio Napoli vede la luce nell’agosto 1926: l’Internaples, su impulso del presidente Giorgio Ascarelli, cambia nome in Associazione Calcio Napoli. Con il nuovo corso arriva anche un simbolo inedito.
Il club archivia le sigle inscritte in forme geometriche e adotta un cavallo sfrenato, bianco o dorato, “inalberato” e “rivoltato”, posto dentro un ovale azzurro bordato d’oro. Le iniziali A.C.N. scorrono in senso orario con leggera asimmetria, mentre le zampe posteriori poggiano su un pallone.
Perché un cavallo? Le ricostruzioni parlano di antiche insegne cittadine. Di certo il soprannome dei calciatori dell’Internaples, i “puledri”, rendeva la scelta coerente.
Dal cavallo al ciuccio: quando la satira diventa icona
Dire che il cavallo si sia “trasformato” in asino è impreciso. Lo stemma con il cavallo resta in uso, pur aggiornato, fino alla stagione 1962-63 e compare accanto alla coccarda tricolore dopo la vittoria in Coppa Italia. Intanto, però, l’asinello diventa la mascotte di fatto.
L’innesco è popolare, ironico e spiazzante. Al termine della prima, difficile annata nella Divisione Nazionale, un tifoso nel centro storico avrebbe liquidato la squadra con un detto tagliente: “Pare l’asino di Fechella”.
La battuta sarebbe quindi approdata sul quotidiano Mezzogiorno Sportivo, e avrebbe conquistato tutti. L’asino è diventato un simbolo di resistenza e autoironia. La città ha riconosciuto in quel passo ostinato una metafora sincera: cadere, rialzarsi, tirare avanti.
All’inizio degli anni Ottanta si registra una breve parentesi grafica: la “N” si arrotonda ai bordi e nell’angolo destro dello scudetto appare la testa stilizzata di un asinello. È una modifica che certifica a livello visivo ciò che la cultura dei tifosi aveva già legittimato.
