Conte, dalla difesa a 3 con Juve e Inter al modulo a 4 in azzurro. E la missione ora è esaltare tutti i migliori

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È là in mezzo che diventa più semplice osservare il mondo che ti circonda: e dopo aver girato e rovistato palloni nel centrocampo del suo universo, Antonio Conte ha cominciato a guardarsi dentro e a scovare nuovi orizzonti. La prima volta a Bari, però, siamo ormai nell’era dei ricordi (sempre piacevoli), fu 4-2-4 ma ci sono state tante vite (tattiche) che hanno orientato l’evoluzione di un uomo terribilmente incontentabile, ossessionato dal calcio e perfezionista – a modo suo – per non negarsi nulla: non si vincono cinque scudetti tra la Torino bianconera, la Milano nerazzurra e Napoli senza aver la capacità di rimettersi in gioco, di assecondare se stesso e di proporre nuove soluzioni a chi ti sta intorno; e non si decolla da Londra, felice e vincente, privo di news utili per allargare i propri orizzonti.

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Tridente (non solo)

 

Il Napoli è uno stile di calcio che Antonio Conte ha assorbito con moderazione, l’ha accolto, l’ha rimodellato, poi se l’è disegnato sulla pelle, perché i “sarti portano gli abiti su misura”. Il suo primo scudetto sa di inevitabile compromesso personale, rientra nelle trasformazioni che appartengono agli uomini svelti di pensiero, rielabora concetti radicati nel tempo e li adegua alle esigenze scatenate dal destino: il 4-3-3 di Conte s’intravede per la prima volta a Torino, sopravvive per un bel po’ perché c’è ancora tanto Napoli di Spalletti che soprattutto vive di Kvara e del suo genio. Poi, nelle difficoltà, nelle metamorfosi imposte un po’ dal campo e un po’ dal destino, c’è la virata: Parigi – e l’incidente a Neres – val bene una mossa anche per Conte, che scongela Raspadori, lo sistema alle spalle di Lukaku, sposta McTominay un po’ più verso sinistra, e lascia che il senso della praticità vinca ancora sul desiderio di plasticità. È un mantra che non viene urlato al vento, forse è un metodo, e che regala scudetti ovunque: alla Juventus irruppe con il 3-5-2, personalizzazione offerta in una serata inizialmente terribile e divenuta poi gioiosa proprio al San Paolo, un 3-1 magicamente divenuto 3-3. Al Chelsea è andato (anche) di 3-4-3; all’Inter, per non uscire dal proprio status, è tornato al proprio codice, s’è industriato, ha concesso all’esterno Perisic il “piacere” di andarsene a tutta fascia e a Napoli, fuor d’etichetta, ha espresso in ampiezza il proprio dizionario.

Il nuovo che avanza

 

Il tridente rientra nel codice genetico di una città rimasta abbagliata dagli slanci emozionali del Sarrismo più travolgente, poi folgorata dallo scudetto rivoluzionario di Spalletti: Conte s’è accostato con autorevole prudenza, prima di incidere senza abbandonarsi alle lusinghe dei nostalgici. L’intervento, sottile e deciso, ha trascinato tra le braccia di un lungomare stordente e quando la festa è finita, per attrezzarne un’altra (ma non si dice) è intervenuto di nuovo. De Bruyne è una specie di miraggio su questo pianeta, ma qui non servono né illusioni e né illusionisti: 4-1-4-1 (o 4-4-1), per “liberare” Lobotka, per non rinunciare ad Anguissa, per allargare il campo, per avvicinare KDB a Lucca e poi magari ad Hojlund, per non derogare dai propri principi, che prevedono sempre: “equilibrio, ovunque, perché altrimenti non si fa strada”. Il suo Napoli è stato smontato ripetutamente, s’è adagiato nella coperta di Linus della difesa a tre, s’è accomodato nella propria storia con il tridente, ha proceduto con le varie derivazioni che comporta starsene dietro comodamente a quattro: è parso, a tratti, fosse il cubo di Rubik. Con le facciate tricolori, però.  Fonte: Gazzetta

 

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