In ESCLUSIVA Arrigo Sacchi ai microfoni de “Il Mattino”: «Super Napoli per un nuovo capolavoro»

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«Bisogna puntare sul gioco, non sui singoli. Senza Van Basten ho vinto lo stesso. E Conte può riuscirci anche senza Lukaku». Arrigo Sacchi continua a guardare il calcio con occhi appassionati, spietati e insieme scettici. Occhi che hanno visto tante cose nascere, crescere e passare.

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L’intervento al cuore è alle spalle, la lunga riabilitazione non lo ha allontanato dal calcio, neppure per un istante: «Ero sul letto, in ospedale. E due cose mi hanno risollevato: vedere giocare la Lazio di Baroni e il Napoli di Conte. Li guardavo e mi sentivo meglio: ah, che bello, vogliono sempre avere il pallone. Come piace a me». Il vate di Fusignano, il creatore del Milan degli Invincibili, l’uomo che ha rivoluzionato il calcio racconta la serie A alla vigilia della stagione.

Sacchi, il Napoli è il favorito per lo scudetto perché è campione d’Italia?«Il Napoli ha compiuto un’impresa ma non per questo è obbligato a farne un’altra. Il Napoli ha vinto perché ha sempre giocato di squadra, ha mostrato ogni volta una compattezza, un senso di appartenenza che ha fatto la differenza, è riuscito a superare indenne la partenza del più forti di tutti, Kvaratskhelia. Antonio ha fatto un capolavoro, conosco le sue capacità e la sua generosità: rivincere non deve e non può essere un’ossessione. Però il fatto che Antonio Conte sia ancora lì è una garanzia del progetto così come gli investimenti importanti per Beukema, Noa Lang, Lucca, De Bruyne. Mi sembra che sia riuscito a conservare il gruppo storico e abbia fatto inserimenti di valore».

Perché è così legato ad Antonio Conte?«Io ho sempre cercato di fare un gioco che aiutasse le persone a divertirsi. Per me il dominio dell’avversario è stato sempre una cosa fondamentale. Io non ho mai pensato a vincere in contropiede e nel Napoli ho rivisto le stesse cose che hanno guidato il mio calcio in un periodo in cui contavano solo il contropiede e la furbizia. A me piace il coraggio».

Non ce l’hanno tutti?«Prendete il Brasile: appena ha smesso di giocare all’attacco, con tutti i suoi talenti, e ha iniziato a pensare alla tattica e solo a quello, non ha più vinto un Mondiale. Meno male che ora c’è il mio Carlo (Ancelotti, ndr) che sistemerà le cose. Lui sa cosa significa mettere i calciatori in campo con un’idea pensando a farli divertire e a divertire. Come ha fatto nel Real Madrid».

 

La perdita di Lukaku è pesante?«Lo è se uno crede che questo sport sia solo soldi e individualità. Ma se uno pensa che al centro deve esserci un collettivo, uno spartito che tutti devono aver imparato a memoria, allora ecco che anche l’assenza di Lukaku non sarà un problema. Io ho vinto con il Milan anche senza Van Basten che si fece male a ottobre e tornò alla fine del campionato».

Quello dello scudetto con il sorpasso al San Paolo nel 1988?«Quando sento Antonio non fa che parlarmi delle emozioni che gli regalano i tifosi azzurri ogni volta che lo vedono e allo stadio. E allora io non posso non ricordare i venti minuti di applausi che accompagnarono la nostra vittoria quel 1° maggio, la prova della maturità e della passione del pubblico napoletano. Che, non mi sorprende, ha incantato anche Conte».

Diceva di Van Basten.«Era un fuoriclasse assoluto. Quando ritornò in Italia dal primo infortunio, venne a vedere Milan-Napoli, il famoso 4-1 a San Siro. E mi disse: “Mai avrei pensato in così poco tempo che lei riuscisse a fare un gioco così poco italiano”. È il collettivo che fa la differenza e il tecnico del Napoli ne ha costruito uno molto compatto».

Il suo Milan aveva pure Gullit, Ancelotti, Virdis, Baresi e tanti altri, però.«Una volta Van Basten mise un foglietto nel mio ufficio a Milanello: “Possiamo fare una partitella senza regole?”. Io scrissi su un altro foglietto: “No”. Perché si allena prima il cervello. Nella nostra testa ci sono i neuroni, che sono come i muscoli, se non li tieni in esercizio si atrofizzano. Conte lo sa bene».

Il Napoli ha anche la Champions quest’anno.«Sarà una bella avventura e Conte, che è un maestro, deve mostrare a tutti che gli italiani non hanno più la sindrome di Pollicino, ovvero non si sentono piccoli rispetto agli altri e che non siamo più fermi al “primo: non prenderle”. In Italia viene considerato giovane chi ha 24 anni, all’estero chi ne ha 17. Mi pare che, a parte de Bruyne, ci siano stati inserimenti giovani nella rosa. Però, ovviamente, anche se attrezzata per far bene, non ha lo spessore per poter competere fino alla fine con le big d’Europa. E non solo il Napoli, neppure l’Inter ce l’ha. E devono stare attenti nella gestione del doppio impegno: c’è il rischio di prosciugare risorse fisiche e mentali».

 

È contento per il ritorno di Sarri?«Quello che lui ha fatto a Napoli è stata la cosa più importante che si è vista negli ultimi venticinque anni. Ha ricordato a tutti che la bellezza è un valore, non solo un sogno. Sarri è riuscito nell’impresa più difficile: allenare il pressing. Lo aspetto alla Lazio, sono curioso di vederlo all’opera. Di sicuro è uno di quelli che non ha paura del gioco. Come Baroni, sono curioso di vedere il suo Torino».

Per gettare ombre sullo scudetto del Napoli dicono che sia stato l’Inter a regalarlo.«La fortuna non esiste, una parola che io ho cancellato. La penso come Seneca: è solo il talento che incontra l’opportunità. E il Napoli è stato fantastico ad approfittare di tutte le frenate dei nerazzurri».

Che campionato si attende?«Sono curioso e non voglio dare giudizi su Tudor e Chivu prima di vedere Juventus e Inter in una partita vera, non solo nelle amichevoli. Non importa se alle spalle hanno una o cento partite in panchina, anche io ero all’esordio in serie A quando venni scelto da Berlusconi. Anche se alle spalle avevo una gavetta interminabile. Chivu deve cambiare rispetto a Parma, mi pare ovvio: lì puntava alla solidità difensiva, all’Inter non basta. Però mi pare che i dirigenti su indicazione degli allenatori in questo mercato sono andati alla ricerca soprattutto di attaccanti, esterni che sappiano puntare l’avversario e saltarlo per creare la superiorità numerica. Speriamo che questo sia di buon auspicio per lo spettacolo, per vedere le idee».

 

Al Milan c’è Allegri: che ne pensa?«Giocherà come piace giocare a lui, se Modric arriva è per l’attrazione che il club esercita da sempre, nonostante i risultati degli ultimi anni. C’è poco da fare: c’è sempre il fascino che i colori rossoneri per i giocatori. Soprattutto quelli stranieri. E la risposta è abbastanza semplice: basta guardare la bacheca del club dove brillano ben sette Coppe dei Campioni, oltre a tanti altri trofei. Nessuna italiana ha vinto tanto in Europa. D’altronde quando Berlusconi mi chiamò mi disse: “Voglio avere la squadra più forte del mondo”. E io gli risposi: “Ah, pensavo di più”».

 

Fonte: Il Mattino

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