ESCLUSIVA – Oscar Magoni si racconta: “Napoli, i miei anni difficili ma ancora oggi ho grandissimi ricordi. Conte e i suoi possono fare il bis!”
Oscar Magoni, attuale direttore sportivo del Renate in Serie C ed ex calciatore – fra le altre – del Napoli (in maglia azzurra totalizzò 116 presenze e 6 reti fra il 1999 e il 2002), ha rilasciato un’intervista esclusiva ai microfoni de ilnapolionline.com toccando vari temi, come i suoi trascorsi in campo e la Serie A ai nastri di partenza il prossimo 23 agosto che vedrà la squadra di Antonio Conte duellare quale campione in carica.
Hai vestito la maglia azzurra per tre stagioni e mezzo, vivendo da protagonista una promozione, una cocente retrocessione ed un quasi-ritorno in Serie A, sfiorata di pochi punti: cosa ricordi maggiormente della tua esperienza partenopea?
“Complessivamente, è stata un’esperienza unica perché sono entrato in una dimensione diversa della mia carriera. Ogni anno ha avuto una storia a sé: sicuramente il passaggio di proprietà da Ferlaino e Corbelli a Naldi ha creato difficoltà a livello societario e la squadra ne ha naturalmente risentito. Questo è l’unico aspetto negativo della mia esperienza napoletana ma ringrazierò sempre Ferlaino per avermi dato la possibilità di vestire questa maglia. Purtroppo il contesto societario non era dei più solidi e c’erano problemi a livello di quotidianità”.
Quelli erano anni complicati per i colori azzurri, arricchiti – come stiamo notando – da numerosi problemi societari. Le difficoltà quotidiane avevano un peso?
“Non c’era uno straccio di programmazione precisa e molte idee erano difformi. La piazza era ovviamente esigente e chiedeva di fare risultato. Dopo aver centrato la promozione in Serie A con Novellino arrivò Zeman e in società da un lato c’era chi spingeva per la conferma del primo, mentre dall’altro chi voleva a tutti costi il boemo. Dopo sei partite con lui, ecco l’esonero e l’arrivo di Mondonico. Grazie al suo aiuto, cambiammo completamente sistema di gioco e dettami tattici, poi fu acquistato Edmundo ma ciononostante fu un’annata tribolata finita con la retrocessione. L’anno dopo siamo ripartiti dalla B con De Canio, sfiorando di pochi punti la promozione. Eravamo in balia delle onde, ma l’affetto dei tifosi, il rispetto per la maglia e l’aver indossato a lungo la fascia di capitano mi ha dato grosse responsabilità ed onorato. Essere capitano del Napoli, anche in una situazione molto difficile, è stato gratificante e molti tifosi lo riconoscono ancora oggi a distanza di anni. Alla città, che cerco di visitare almeno una volta l’anno, sono molto legato perché detengo la presidenza onoraria del ‘Club Napoli Bergamo’: ho costruito tanti legami, che ancora oggi ho la fortuna di coltivare”.
Nel corso della tua esperienza napoletana si sono succeduti tanti allenatori. Chi di loro ti ha lasciato qualcosa?
“Ho incontrato professionisti di alto profilo, tecnici molto preparati. Sono arrivato a Napoli con Renzo Ulivieri dopo quattro anni trascorsi insieme al Bologna: avevamo un rapporto speciale ben oltre il rettangolo verde. Con gli altri ho sempre avuto rapporti di correttezza e stima reciproca: sono stato davvero fortunato”.
Hai esordito in Serie A con l’Atalanta, all’epoca non ancora fra le grandi. C’erano già le basi per costruire qualcosa di indimenticabile?
“Quando ho esordito con la maglia dell’Atalanta era il 1992, praticamente un’altra epoca ed un calcio molto diverso da quello di oggi. Per un ragazzo originario di Bergamo e tifoso dei colori nerazzurri, giocare con quella maglia è stato un sogno. Nonostante fossi giovanissimo, la tensione e le emozioni erano palpabili: l’Atalanta al tempo era già un’ottima società ma praticava ovviamente un tipo di calcio diverso, alternando salvezze a retrocessioni e puntando sui profili del proprio vivaio. Lanciare e forgiare i giovani del territorio era il leitmotiv della dirigenza ed in tanti, come Orlandini, Tacchinardi, Morfeo, Locatelli, Vieri, Rambaudi, Pippo Inzaghi, Ganz e Porrini, hanno fatto quel tipo di percorso prima di approdare nei grandi club. Con il passare del tempo, l’Atalanta si è strutturata fino a diventare la realtà top di oggi anche in Europa”.
Prima di Napoli l’esperienza a Bologna, oggi una big a tutti gli effetti. E’ stata la tua consacrazione?
“Bologna, come Napoli, rappresenta una tappa importante della mia carriera. Lì sono diventato un calciatore ‘vero’, giocando la Coppa Uefa e trovando una dimensione personale e professionale diversa, migliore. Ho avuto la fortuna di giocare con gente del calibro di Baggio, Andersson, Ingesson, Kolyvanov, Torrisi, De Marchi, Marocchi, Fontolan, Signori: giocatori top. Ero nel pieno della mia carriera e sono stato davvero bene: Bologna è stata la tappa giusta prima di approdare a Napoli. Sono passato in pochi giorni dal giocare Bologna-Milan a Cosenza-Napoli. Era una follia, ma meglio così”.
E poi quella con l’Ancona, che conquistò la Serie A. In una Serie B altamente dura e competitiva come quella dell’epoca, quanto fu gratificante centrare la promozione in mezzo a tante squadre blasonate?
“In centoventi anni di storia, soltanto in due occasioni l’Ancona ha giocato la Serie A. Abbiamo avuto la fortuna di centrare la promozione, uno scenario al giorno d’oggi raro per i colori biancorossi: il nostro fu un percorso poco valorizzato, dal momento che l’esperienza in massima serie fu effimera e nel giro di poco tempo la società fallì per ripartire dai dilettanti. S’era fatta un’impresa in tutti i sensi e per di più con una squadra non partita per vincere. Sebbene tutto sia poi finito nel dimenticatoio, fu una cavalcata emozionante tutta di rincorsa. Un vero peccato”.
Tra poche settimane ripartirà il campionato e tutte vorranno dare la caccia al Napoli. Gli azzurri possono ripetersi?
“Il Napoli è favorito: lo dimostra l’imponente campagna acquisti fatta fino a questo momento. La squadra di Conte ha tutte le carte in regola per fare il bis”.
C’è da preoccuparsi per le recenti amichevoli oppure no?
“Assolutamente no, può starci all’inizio della stagione. In panchina c’è Antonio Conte: ci penserà lui a fare le cose giuste al momento giusto”.
Chi può infastidire la squadra di Conte?
“Quelle di sempre. Inter, Milan e Juventus in particolare. Ma io vedo un Napoli col vento in poppa e con un’ottima programmazione: non sarà una passeggiata visto che gli azzurri avranno anche la Champions e diverse situazioni che possono presentarsi durante l’anno, ma la squadra ha la forza di gestire entrambe le competizioni. Ho grande fiducia”.
Dopo quasi un decennio con Gasperini, a prendere in mano l’Atalanta sarà Juric. Certezza o incognita?
“Bella domanda, a cui non si può ancora rispondere perché bisognerà capire cosa accadrà. E’ un cambiamento epocale, e come tutti i cambiamenti serve del tempo”.
Sta per ripartire anche la Serie C in mezzo a diverse problematiche, vedi i casi di Triestina e Rimini. Qual è l’obiettivo del Renate in un girone arricchito dalla seconda squadra dell’Inter?
“Siamo ormai da sedici anni in Lega Pro e, pur trovandoci in uno dei paesi più piccoli, abbiamo trovato una dimensione che ci fa sentire a nostro agio in questa categoria. Ci piacerebbe vincerla, un domani, ma intanto abbiamo grande entusiasmo e vogliamo continuare a migliorarci. Abbiamo chiuso lo scorso anno con 60 punti al quarto posto. Non sarà facile ma sarebbe bello ripetersi: abbiamo voglia di stupire ancora e metterci alla prova continuando a schierare i giovani, aiutandoli a mettersi in mostra verso palcoscenici prestigiosi. Da qui sono passati grandi portieri come Di Gregorio, oggi alla Juventus, poi Turati e Pizzignacco, tutti fra Serie A e B. Ma prima la salvezza, poi ci divertiamo”.
In chiusura, un aneddoto sulla tua carriera.
“A Napoli, in un momento difficile a livello di squadra, avevo fatto fare delle maglie con la scritta ‘ci vuole la cazzimma’, che feci sollevare ai miei compagni appena entrati in campo. Non male, parlare in napoletano per un bergamasco (ride, ndr). E poi tutti i nostri capelli tinti d’azzurro, dopo la promozione in Serie A: ora i miei sono diventati bianchi (ride, ndr)“.
Intervista a cura di Riccardo Cerino
