Lukaku: “Sono l’uomo che volevo diventare. Ora gioco per la mia rivincita”

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Romelu Lukaku si racconta in un’intervista ai microfoni de La Gazzetta dello Sport. In questa intervista esclusiva, il bomber belga si apre sul valore delle radici, sull’orgoglio di ciò che ha costruito dentro e fuori dal campo, sull’essere padre e sull’impegno – mai retorico – nella lotta al razzismo. Di seguito, le sue parole:

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Prima estate senza l’ansia da mercato. È stato scioccante?

“Direi più “Peace&Love” – ride, ndr -. Mi sono concentrato sulla famiglia, senza aspettare la chiamata dell’agente. Ho visto tanti tornei di mio figlio con le giovanili dell’Anderlecht”.

Raccontò di aver capito di essere povero quando vide sua mamma mischiare l’acqua con il latte. Se pensa a dove è arrivato, cosa la rende più orgoglioso?

“Sono l’uomo che volevo diventare. Ho dato l’opportunità a tutta la mia famiglia di andare a scuola e all’università. Nei momenti più belli della mia carriera erano sempre lì allo stadio: mia mamma, i miei figli, mio fratello. Guarda, sul mio cellulare c’è mia mamma che alza la coppa scudetto (la mostra, ndr). Vedi, è una rivincita. E anche nella sofferenza, da adulto, lei mi ha sempre dato una spinta: “ricordati da dove veniamo”. Crescendo penso spesso a ciò che ho passato e mi scatta qualcosa, mi dà energia: io non voglio che i miei figli possano rivivere quello che ho vissuto io. Ora stanno bene, parlano già tre lingue a 3 e 7 anni. E io sono contento perché pure nel calcio ho tutto: sono nella squadra giusta, con l’allenatore giusto, nella società giusta. Si vede che anche il Napoli fa dei grandi passi in avanti ogni anno”.

Che papà è Lukaku?

“Coccolone. Li abbraccio sempre, mi piace il contatto. È molto difficile per me essere severo con loro. Con mia mamma, la mia fidanzata e mio fratello sono più duro”.

È da sempre in prima linea contro il razzismo: ha visto passi avanti da quando ha cominciato a giocare a oggi?

“Complicato parlarne ogni volta. Bisognerebbe fare, più che parlare”.

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