Conte si è raccontato a Sky: « Tante volte non ho celebrato ma stavolta è stato diverso »

0

Stavolta, a differenza del passato, Antonio Conte se l’è goduta, è arrivato in cima, distante dal caos dei secondi, e ha respirato a pieni polmoni l’aria buona del successo:

Factory della Comunicazione

«In passato tante volte non ho celebrato una vittoria e poi me ne sono pentito. A Napoli me la sono goduta. Altrimenti non ha senso fare il percorso e tutti quei sacrifici».

Dalla festa al Maradona dopo la vittoria contro il Cagliari all’entusiasmo sul bus scudetto, l’allenatore del Napoli, che si è raccontato a “Federico Buffa Talks” su Sky, ha vissuto appieno l’atmosfera festante di una città condotta al trionfo. Perché, dice Conte, il ricordo di certe sconfitte è sempre vivo: «Sono cicatrici profonde che tu comunque ti porti, ecco perché a volte tiro fuori una cattiveria che può far paura o timore, ma perché io cerco in tutti i modi di vincere per poi celebrare la vittoria. Non ho tante sfumature, nel bene e nel male sono senza filtri, ecco perché capisco di essere divisivo». 

CRESCITA. La scalata di Conte dal campo alla panchina ha una data, anzi una stagione, 2006/07, la prima in Serie B per il Napoli di De Laurentiis. «Io quando arrivo ad Arezzo non sono allenatore. Sono uno che pensa di essere allenatore raccontain virtù del fatto di essere stato allenato dai più grandi di quel periodo come Trapattoni, Sacchi, Lippi, Ancelotti, Fascetti, Mazzone. Prendo questa bella mazzata nei denti e capisco che devo studiare. Io ad Arezzo ho fatto cinque anni in uno. Lì sono diventato allenatore. Ringrazierò sempre il Signore di essere stato mandato via. Se non avessi capito alcune dinamiche, magari sarei rimasto quel Conte che pensava di essere allenatore e invece era ancora giocatore nella testa».  

SACRIFICI. Il calcio, il suo calcio, è un dare-avere: «Cosa siamo disposti a sacrificare per fare questo mestiere? Cosa sei disposto a perdere? Io ho fatto il mio primo ritiro col Lecce a 15 anni. L’estate dura pochissimo, si lavora tanto, io finivo la scuola e iniziavo il ritiro in montagna. Non ci sono vacanze, discoteca, amici. C’è solo il calcio».

Conte dice grazie ai suoi genitori: «La loro è stata un’educazione molto rigida. Fin da bambino, se volevo qualcosa dovevo dare. L’esempio che porto sul calcio è chiaro: c’era un patto tra me e loro. Vuoi giocare a calcio? Bene, vai bene a scuola altrimenti a calcio non giochi più. Dovevo dare qualcosa per inseguire la mia passione che era anche quella di papà Cosimino». Promosso a pieni voti.

Fonte: CdS

Potrebbe piacerti anche
Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato.

For security, use of Google's reCAPTCHA service is required which is subject to the Google Privacy Policy and Terms of Use.