“E ora cantano tutti: il Napoli è Campione d’Italia” Di nuovo. Di nuovo forte. Di nuovo insieme

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Questa notte, il destino ha cambiato voce. E l’ha fatto nel modo più partenopeo possibile: con un cuore che batte più forte del rumore, con un popolo che esplode d’amore, con una squadra che ha scelto il silenzio del lavoro alla retorica delle promesse.

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Sul campo del Maradona, dove il cielo azzurro si confonde con le bandiere e i cori non hanno mai smesso di crederci, il Napoli ha scritto il suo quarto Scudetto. Il secondo in tre anni. Il primo di Antonio Conte. Quello della riscossa, della fatica, del sudore. Quello della rinascita dopo un anno da dimenticare.

2-0 al Cagliari. McTominay, poi Lukaku. Ma il punteggio è solo la superficie. Il sottofondo di un capolavoro lungo nove mesi. È il suono di una città che non smette di sperare, anche quando il buio sembra più forte della luce. È l’inno di una squadra che ha scelto di non brillare per stupire, ma di resistere per vincere.

E lo ha fatto anche senza Antonio Conte in panchina, squalificato proprio per l’ultimo atto. A guidare i suoi uomini, nel silenzio carico di tensione, c’era Cristian Stellini: lo “scudiero” di sempre, l’uomo dell’ombra che per una notte è diventato luce. Un uomo cresciuto tra oratorio e sacrificio, tra la difesa e la discrezione. Il battito nascosto del Napoli. Il respiro della vigilia trasformato in voce.

Lui, che da anni cammina accanto a Conte, ha alzato lo sguardo nel momento più importante. E tutto il Napoli lo ha seguito. Dalla grinta di Di Lorenzo, ancora protagonista come nel 2023, all’equilibrio di Anguissa, dalla sicurezza di Rrahmani e Buongiorno fino alla potenza silenziosa di Lukaku e alla fame indomabile di Scott McTominay, l’uomo dei gol pesanti, l’uomo del destino.

Il Napoli ha vinto con organizzazione, con disciplina, con anima. Non ha dominato, ha combattuto. Non ha incantato, ha costruito. Una squadra che ha vinto come si vince in un tempo difficile: con meno magia e più sacrificio. Meno luci, più fondamenta.

L’Inter ha lottato fino all’ultimo. Ha vinto anche lei, ma non è bastato. E con stile ha fatto i complimenti. È stata una corsa a due da romanzo. Ma l’ultima pagina porta la firma degli azzurri.

E adesso si balla.

Sotto la Curva, sulle note di Un giorno all’improvviso, tra abbracci, lacrime e pugni al cielo. Ballano tutti: McTominay, Lukaku, Politano, Spinazzola, i titolari e le riserve, i ragazzi e gli uomini. Ballano con Conte, sceso dalla tribuna per stringere uno a uno i suoi guerrieri. L’abbraccio con Lukaku è lungo, commosso, vero. L’abbraccio con Di Lorenzo è quello tra chi sa di aver scritto un’altra pagina di storia.

Poi il palco. Poi la Coppa. Poi il numero 4 che campeggia sul prato del Maradona come un sigillo eterno. E De Laurentiis, il presidente che ha voluto Conte, che ha sofferto, che ha aspettato, è lì. Abbraccia, sorride. E sa che questo titolo pesa ancora di più perché è stato costruito con fatica, tra i dubbi, contro il passato.

Due anni fa il Napoli era bellezza. Oggi è forza. E il suo Scudetto vale doppio.

Nel 2023 era l’armonia. Nel 2025 è la resistenza.

Da Verona a Como, passando per Parma, Bologna, Roma. Ogni inciampo è stato lezione. Ogni dubbio, carburante. E alla fine, con un solo punto di vantaggio, con il mondo che osservava, il Napoli ha scelto di non tremare.

Questa notte non vince solo una squadra. Vince una città intera.

Perché ogni volta che lo Scudetto torna a Napoli, torna a casa.

 

A cura di Jo D’Ambrosio

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