NEL 2015 GALLIANI VOLEVA MAURIZIO, EMERGENTE A EMPOILI, MA POI RIPIEGÒ SU MIHAJLOVIC. E IL NAPOLI NE APPROFITTÒ
Era bravo, però però però. Era il prescelto, il candidato ideale per la ricostruzione della squadra, però però però. Pure Adriano Galliani l’aveva individuato come l’uomo giusto per ripartire dopo un paio di stagioni storte, però però però. Il percorso che avrebbe dovuto portare di Maurizio Sarri al Milan – in quella primavera-estate del 2015 – era pieno di ostacoli in forma di congiunzioni avversative – però però però – e di altri piccoli ma decisivi dettagli che videro il club sterzare all’ultima curva e prendere all’ultimo momento un’altra direzione. E l’ipotesi di Sarri tenutario della panchina rossonera svanì sul più bello. Puff. Ora il nome di Maurizio torna d’attualità, inserito nell’elenco degli allenatori ritenuti praticabili da via Aldo Rossi. E quel però però però potrebbe diventare un chissà. Anche perché il Milan s’è cambiato d’abito a tutti i livelli, e ciò che prima era tabù adesso probabilmente non lo sarebbe più.
LA TUTA
Forse bisogna partire dalla tuta, perché Sarri – in quel periodo all’Empoli – era diventato per tutti “L’allenatore in tuta”. Ecco, la tuta anche no. Fu forse quello a far desistere Silvio Berlusconi dall’affidargli il Milan? Anche, ma non solo. Nell’idea di mondo di Berlusconi un allenatore deve – tra le altre cose – saper comunicare. Che cosa? Empatia, quindi – nelle sue declinazioni – sicurezza di sé e affidabilità, ordine e pulizia. L’estetica è funzionale al progetto, giusto? La tuta di Sarri diceva invece della pigra comodità dell’uomo di campo, nato per stare in campo, appunto, non per presentarsi – magari con doppiopetto blu, camicia azzurra, cravatta regimental e mocassino con le nappe – ad una convention. Fosse stato solo per la tuta, poi. Al primo approccio – lo sguardo ingrugnito, il cipiglio iroso direbbe un vecchio telecronista, insomma, quell’aria di uno che ha appena scoperto che gli hanno rigato la macchina – Sarri non rappresenta la tipologia dell’allenatore ideale per un presidente che – non dimentichiamolo – è noto per la sua idiosincrasia a baffi, barba e aspetto non curato con la dovuta parsimonia. Fu Berlusconi a intimare al neo acquisto Cerci – proprio in quel 2015 – di tagliarsi la barba, “che è meglio”. E poi: Sarri era all’epoca un tabagista compulsivo (ora ha ridotto i livelli di prestazione, diciamo così) e tutto quel fumo, in casa Milan, non era un buon biglietto da visita.
GLORIA SMARRITA
Ma come ci era entrato – Maurizio Sarri – nella lista dei candidati, anzi, come era finito in cima alle preferenze di Galliani? Urge un breve ripasso della storia di quegli anni. Parliamo di un Milan alla ricerca della gloria pedata, comunque smarrita in poco tempo. Dopo i fasti di fine anni 80 (con Arrigo Sacchi), i trionfi di inizio anni 90 (con Fabio Capello) e la generosa spruzzata di gloria nel primo decennio del Duemila (con Carlo Ancelotti), il Milan è scivolato lontano dal salotto buono d’Europa (l’ultima Champions vinta è del 2007) e lo scudetto di Max Allegri (2011) non ha segnato l’inizio di un ciclo, tutt’altro. Dopo Allegri Berlusconi tenta la carta già riuscita in passato, quella del campione-aziendalista che – nelle vesti di allenatore promettente – debutta nel calcio che conta. Però stavolta non funziona. Le 18 panchine di Clarence Seedorf nel 2013-14 – con l’olandese subentrato in corsa ad Allegri – non seminano speranze; così come la stagione di Pippo Inzaghi – 2014-15 – si chiude con un Milan a metà classifica (10° posto). Serve una rivoluzione. E quella rivoluzione- secondo Galliani – porta dritto a Sarri.
PALATI FINI
Sarri nel 2015 ha 56 anni, sta ad Empoli da tre stagioni, l’ha portato in A, ma in categoria vanta un solo campionato, chiuso con una salvezza. Propone un calcio offensivo, per palati fini, ha idee solide e una personalità pesante. E’ un provinciale che ha girato il mondo, faceva il bancario, poi ha deciso – con un atto di grande coraggio – che il suo destino era un altro. Nella storia del Milan una storia simile – quella del genio sbucato (quasi) del nulla – srotola il suo filo fino ad Arrigo Sacchi scelto personalmente da Berlusconi nel 1987 quando allenava (in B) a Parma. Occhio: leggenda vuole che sia stato lo stesso Sacchi a suggerire al Dottore e al Cavaliere, Galliani e Berlusconi, il nome di Sarri. Suggestione: e se la storia si ripetesse? Però, però, però. L’abbiamo detto: Sarri nelle foto di gruppo è quello in tuta. Può un pregiudizio fermare una trattativa? Alt, c’è un’altra cosa. Sarri è comunista, cioè, in un paio di interviste di quella primavera del 2015 rimarca le sue origini: nonno partigiano, padre operaio, idea di mondo di sinistra. Dice anche che il suo politico di riferimento è Maurizio Landini. Landini, cioè il segretario della CGIL, non esattamente uno con cui Berlusconi dividerebbe la tavolata ad una cena. E dunque: la tuta, le idee politiche, le troppe sigarette, una certa diffidenza, seppur a pelle, quella ritrosia che – di fronte a qualcuno così diverso da noi – ci fa esitare. Altro?
TITUBANZE
Sì, c’è dell’altro. Mentre attorno al Milan l’ipotesi Sarri un giorno si gonfia e il giorno dopo si ammoscia, ecco che Aurelio De Laurentiis fa la mossa decisiva e convince l’allenatore a firmare per il Napoli. L’11 Giugno 2015 arriva l’ufficialità: Maurizio Sarri è il nuovo allenatore del Napoli. Il Milan paga le titubanze di Berlusconi, che convinto proprio non è. Già una volta fece saltare una trattativa già avviata: era quella che riguardava Osvaldo Bagnoli, lui sì comunista quando c’erano davvero i comunisti in Italia, fine anni 80, dopo l’impresa dello scudetto dell’Hellas Verona. E già una volta si lasciò convincere ad ingaggiare un altro allenatore le cui idee politiche cozzavano con le sue: era Alberto Zaccheroni, che al primo colpo (1998-99) vinse uno scudetto che però Berlusconi addebitò alle proprie intuizioni, prima fra tutte quella di Boban trequartista. E niente: Sarri andò dunque al Napoli e il Milan virò su Sinisa Mihajlovic. Il 4 ottobre 2015, a San Siro, Milan-Napoli 0-4, con Berlusconi che commentò amaro: “Complimenti a Sarri, le sue squadre giocano un gran bel calcio”. A Napoli il “Sarrismo” divenne una filosofia di vita e dopo tre anni segnati dai duelli con la Juventus (due secondi e un terzo posto), l’orgoglioso provinciale di Figline Valdarno andò a miracol mostrare a Londra, vinse l’Europa League e cambiò anche il guardaroba, perché non esitò – forse era l’aria dell’Inghilterra – a indossare giacca e cravatta, ma con moderazione.
Fonte: La Gazzetta dello Sport