Bernardeschi a Il Mattino: “Conte è un allenatore di un’altra categoria”, ecco cosa ha imparato da lui l’ex viola

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L’ex calciatore della Fiorentina, Federico Bernardeschi, ora al Toronto con Lorenzo Insigne, ha parlato a Il Mattino, dove fra le altre cose ha sottolineato il suo pensiero su Antonio Conte.

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E il Napoli?
«È la squadra che può dare più fastidio all’Inter insieme all’Atalanta che senza ha un valore aggiunto. Se la giocheranno fino alla fine a meno che l’Inter non stacchi tutte, ma mi sembra difficile pensare che possa accadere visto che i neroazzurri sono molto focalizzati sulla Champions. E poi il Napoli ha Conte…»
Ovvero?
«È un allenatore di un’altra categoria. L’ho avuto solo all’Europeo 2016 ma mi è bastato. Quello che riesce a darti Conte l’ho visto dare da pochi altri allenatori. Sia a livello tattico, ma soprattutto a livello umano».
Ci dica.
«Riesce a tirarti fuori quello che hai dentro e si fa seguire in tutto e per tutto. Sa toccare delle corde che altri allenatori non fanno. La sua capacità è innanzitutto umana. Se ti dice di buttarti giù da un ponte, lo fai. Ti tira fuori l’anima».
Cosa ha imparato da lui?
«Una lezione fondamentale. Che se riesci a toccare le corde giuste, dai giocatori riesci ad avere molto di più di quello che pensi andando oltre ogni aspettativa».
Ma nello spogliatoio del Toronto si parla di scudetto del Napoli con Lorenzo Insigne?
«Non nominiamo quella parola, che c’è la scaramanzia a Napoli eh. Scherzi a parte: con Lorenzo ogni tanto ne parliamo e lui ci crede, ma sotto sotto è scaramantico e quindi non vuole dirlo».
Prima di Toronto, però, lei poteva davvero arrivare a Napoli?
«Sì, sono stato davvero tanto vicino al Napoli nel 2022. Il presidente chiamò il mio agente dell’epoca e la trattativa entrò nel vivo. Napoli è una piazza che ti da tanto, vive di calcio e vive solo per il calcio. Una cosa del genere può solo far piacere a un giocatore. Poi le cose non si concretizzarono e io sono volato qui in Canada».
Quel Napoli lo allenava Spalletti che oggi è il ct della Nazionale: vi siete sentiti per un suo ritorno in azzurro?
«No, mai. Ma non mi nascondo dietro un dito. Ogni mia scelta è ponderata. So come funziona il calcio, soprattutto quello in Italia e sapevo benissimo che scegliendo la Mls avrei rinunciato a delle cose importanti. Ne ero consapevole. Sapevo quello che mi potevo perdere e sapevo quello che potevo trovare. Non mi aspetto assolutamente niente».
Ha perso la Nazionale, ma cosa ha trovato?
«Un ambiente meraviglioso a Toronto dove sono stato accolto da re. E questo è stato quello per cui ho lavorato tutta la vita. L’accoglienza è stata travolgente. Il campionato sta crescendo a dismisura. Lo immaginavo e l’ho sempre detto. Qui hanno una visione a lungo termine».
Ora c’è anche Messi…
«Il suo arrivo è stata la fiamma che ha fatto accendere ancora di più i riflettori sulla Mls. Non va sottovalutata l’America calcistica nel prossimo futuro».
Con la maglia della Nazionale lei ha vinto l’Europeo 2020.
«E quella coppa la sento molto mia. Perché venivo da una stagione difficile con la Juventus ma Mancini mi diede fiducia soprattutto per quello che avevo dato in passato. Soffrii tanto quell’anno e dopo 9 anni di Nazionale rischiavo di perdere un appuntamento con la storia. Forse qualcuno si sarebbe aspettato una mia esclusione, forse sarebbe stata anche più logica come scelta, ma quando fai anni di Juventus, di calcio ad alti livelli e hai una personalità importante alla fine i momenti decisivi li sai gestire. Giocai poco anche durante l’Europeo ma quando iniziarono a metterci la pressione addosso feci 40 minuti contro la Spagna in semifinale e 50 in finale calciando anche un rigore pesante. Mancini questo lo sapeva perché glielo avevo dimostrato prima. Quella era la Nazionale con il sorriso e Mancini lo aveva capito».
Dal passato al presente, c’è Napoli-Fiorentina e nella squadra di Palladino c’è un Kean in grande forma.
«Quando Moise è andato a Firenze dicevo a tutti che avrebbe fatto dai 15 ai 20 gol. È un giocatore forte. Quando è arrivato alla Juventus c’era una concorrenza di livello assoluto in attacco ed era normale giocasse poco. Se gli dai spazio e fiducia vengono fuori le sue qualità: forza e velocità, che messe insieme lo rendono micidiale. Per certi versi mi ricorda Lukaku. Meno strapotere fisico, ma è quel tipo di giocatore lì. Il gol te lo fa di forza, di rabbia, di velocità».
Bernardeschi, Chiesa e ora Comuzzo: cosa ha di magico il settore giovanile della Fiorentina?
«Ci sono persone competenti. È un progetto che parte da lontano. Sono un modello come lo è quello dell’Empoli. Sono società che hanno coraggio, sono solide e sono sane».
Quando lei era nella Primavera della Fiorentina si rifiutò di firmare la liberatoria per un reality show su quella squadra…
«Ero il capocannoniere e il numero 10 della Primavera ma non volevo che invadessero il mio spazio. In quel momento avevo altro a cui pensare. Dovevo pensare solo al campo. Avevo paura che diventasse una distrazione. Mi ricordo che si arrabbiarono molto, ma tornassi indietro è una scelta che rifarei perché mi avrebbe fatto perdere un po’ la concentrazione».
È un consiglio che si sentirebbe di dare anche ai giovani calciatori di oggi?
«Assolutamente sì. Da bambino avevo il sogno di diventare calciatore. I social non esistevano, certo, ma mi rendo conto che affacciarsi troppo presto a queste realtà moderne in una società che va così veloce, è un rischio. Per uno che deve crescere e formarsi sotto l’aspetto umano e di carattere può fare male perché sei ancora instabile. Spesso sono cose che fanno male anche agli adulti, figuriamoci a chi è ancora un ragazzo che sta crescendo. Ora sembra che si voglia diventare prima famosi e poi calciatori. Invece dovrebbe essere il contrario. O almeno da bambino per me era così».
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