Valon Behrami, con l’amico Marco Parolo, ha deciso di mettere su una trasmissione per parlare con le community di tifosi online. I due ex calciatori hanno fatto un confronto tra Conte e Spalletti e sulle due squadre in due anni differenti, due giochi differenti, ma con una cosa in comune:
Da Conte a Spalletti, il Napoli che domina il campionato ha il comune denominatore di un allenatore carismatico, lei che conosce questa piazza si è fatto un’idea del perché?
«A Napoli o prendi un comandante o fai fatica. Ci sono troppi fattori ambientali che ti possono portare dalle stelle alle stalle. È una città nella quale senti l’umore della gente, ti svegli la mattina e capisci se il Napoli ha vinto o ha perso. Da giocatore non sempre hai la sensibilità per capire il momento. Se invece hai un comandate che si mette davanti, è lui il leader e tu devi fare solo il calciatore in campo. Fuori ci pensa lui. Seguire quella linea a Napoli è fondamentale. Se ascolti solo una voce e quella voce ti convince perché ne hai piena fiducia, il discorso cambia. Il comandante si prende gli alti e i bassi».
«A Napoli o prendi un comandante o fai fatica. Ci sono troppi fattori ambientali che ti possono portare dalle stelle alle stalle. È una città nella quale senti l’umore della gente, ti svegli la mattina e capisci se il Napoli ha vinto o ha perso. Da giocatore non sempre hai la sensibilità per capire il momento. Se invece hai un comandate che si mette davanti, è lui il leader e tu devi fare solo il calciatore in campo. Fuori ci pensa lui. Seguire quella linea a Napoli è fondamentale. Se ascolti solo una voce e quella voce ti convince perché ne hai piena fiducia, il discorso cambia. Il comandante si prende gli alti e i bassi».
Nota delle analogie tra questo Napoli e quello che ha vinto il terzo scudetto?
«Con Spalletti c’era l’incoscienza e la voglia di diventare vincenti trascinati dall’entusiasmo e dallo spettacolo. Questa è una squadra più pragmatica, segue alla lettera quello che vuole l’allenatore e ha dentro una mentalità vincente. Quando giochi a 150 all’ora è difficile che ti vengono a prendere. Vedo una squadra in totale controllo a livello tecnico e mentale della partita. A questo Napoli basta una situazione di gioco per chiudere i conti, perché si muovono tutti in maniera perfetta».
«Con Spalletti c’era l’incoscienza e la voglia di diventare vincenti trascinati dall’entusiasmo e dallo spettacolo. Questa è una squadra più pragmatica, segue alla lettera quello che vuole l’allenatore e ha dentro una mentalità vincente. Quando giochi a 150 all’ora è difficile che ti vengono a prendere. Vedo una squadra in totale controllo a livello tecnico e mentale della partita. A questo Napoli basta una situazione di gioco per chiudere i conti, perché si muovono tutti in maniera perfetta».
Lei ora è passato dall’altra parte, quella dell’intervistatore: com’è avere Conte in diretta?
«Conte gestisce lui l’intervista. Se non ha voglia di rispondere parla lui per 3 minuti e ti fa scadere il tempo. Ma così manda un messaggio alla squadra».
«Conte gestisce lui l’intervista. Se non ha voglia di rispondere parla lui per 3 minuti e ti fa scadere il tempo. Ma così manda un messaggio alla squadra».
Quanto è difficile fare domande a caldo ai protagonisti dopo le partite?
«Oggi gli allenatori si arrabbiano tutti. Nicola è uno di quelli che apprezzo di più, so che non mi risponde male e abbiamo tanta confidenza. Il filtro della tv è una barriera importante, se ci vediamo fuori abbiamo un modo di comunicare diverso, ma la tv azzera tutti i rapporti. È difficile capire che non c’è malizia quando fai un’analisi, io non voglio mai provocare».
«Oggi gli allenatori si arrabbiano tutti. Nicola è uno di quelli che apprezzo di più, so che non mi risponde male e abbiamo tanta confidenza. Il filtro della tv è una barriera importante, se ci vediamo fuori abbiamo un modo di comunicare diverso, ma la tv azzera tutti i rapporti. È difficile capire che non c’è malizia quando fai un’analisi, io non voglio mai provocare».
Lei che idea si è fatto del mercato invernale del Napoli?
«Questo gruppo adesso è primo e gioca una volta a settimana, se porti un top player, che magari ha anche uno stipendio astronomico, quasi delegittimi quello che hanno fatto fino a ora e fai porre dei dubbi ai giocatori: “Non si fidano di me?”. È chiaro che la gente voglia il super nome ma se non riesci a prenderli meglio restare così. L’unica paura è quella di un ipotetico infortunio».
«Questo gruppo adesso è primo e gioca una volta a settimana, se porti un top player, che magari ha anche uno stipendio astronomico, quasi delegittimi quello che hanno fatto fino a ora e fai porre dei dubbi ai giocatori: “Non si fidano di me?”. È chiaro che la gente voglia il super nome ma se non riesci a prenderli meglio restare così. L’unica paura è quella di un ipotetico infortunio».
Giro di curiosità su Valon Behrami: per strada la riconoscono ancora anche se non si tinge più i capelli?
«Ho smesso di tingerli quando ho smesso di giocare».
«Ho smesso di tingerli quando ho smesso di giocare».
Perché?
«Lo facevo per motivi scaramantici. Quando mi sono rotto il ginocchio non avevo i capelli ossigenati e mi sono messo in testa che mi fosse successo per quello».
«Lo facevo per motivi scaramantici. Quando mi sono rotto il ginocchio non avevo i capelli ossigenati e mi sono messo in testa che mi fosse successo per quello».
Andiamo avanti: è vero che lei è diventato calciatore quasi per caso?
«Confermo. Da bambino facevo solo atletica e infatti quel lavoro mi è servito tanto anche per il calcio e si vedeva: tecnicamente non ero uno con i piedi vellutati. Poi un giorno, per caso, un mio compagno di scuola delle elementari mi dice che il papà ha bisogno di un giocatore per una partita amichevole. “Ti passiamo a prendere noi”. Gioco per la prima volta, vinciamo e faccio 3 gol. In quel momento ho capito che bastava così poco per essere felici. Nell’atletica è difficile trovare queste soddisfazioni».
«Confermo. Da bambino facevo solo atletica e infatti quel lavoro mi è servito tanto anche per il calcio e si vedeva: tecnicamente non ero uno con i piedi vellutati. Poi un giorno, per caso, un mio compagno di scuola delle elementari mi dice che il papà ha bisogno di un giocatore per una partita amichevole. “Ti passiamo a prendere noi”. Gioco per la prima volta, vinciamo e faccio 3 gol. In quel momento ho capito che bastava così poco per essere felici. Nell’atletica è difficile trovare queste soddisfazioni».
