Il Mattino – Claudio Pellegrini III: “Il mio idolo è Gianni Rivera. Napoli? È favorito per lo scudetto!”

L’ex attaccante di Napoli e Udinese si è raccontato a ‘Il Mattino’

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Nell’edizione odierna de ‘Il Mattino’ è stata pubblicata un’intervista a Claudio Pellegrini III, uno dei simboli del Napoli del post-terremoto.

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Ecco le sue parole:

Pellegrini, se lo ricorda il primo pallone?

«Quelli di color marroncino, sul campo dell’Acli Primavalle. Da piccolo ero laziale, come mio padre. Ero nel Nucleo Addestramento giovani calciatori. Giocavo a centrocampo, un po’ alla Tardelli, ma segnavo sempre».

Che attaccante era?

«Sfruttavo la mia elevazione, la mia velocità. Ho avuto grande maestri, come Giacomini, Marchesi, Santin, Valcareggi. Io mi sono sempre affezionato a quegli allenatori che cercavano di capirti per farti migliorare. Penso che questo è il motivo per cui Conte sia tra i top in Europa: studia i suoi calciatori, gli disegna abiti su misura. Solo con uno ho avuto un’incomprensione».

Chi?

«Gianni Di Marzio. Gli volevo bene. Ma mi voleva per forza portare al Genoa, in serie B, dopo il mio primo anno al Napoli. Rifiutai e lui si arrabbiò. Preferii andare all’Avellino in prestito».

Il suo idolo?

«Gianni Rivera. Coronai il mio sogno giocando con lui in amichevole nel 1978: il Milan mi portò a giocare in prova a fine stagione. Affrontammo il Genoa, c’era anche Nereo Rocco. Feci gol, ma alla fine dall’Udinese mi prese il Napoli».

Non le è andata male.

«Indimenticabili gli anni in azzurro. Anche se vivemmo l’esperienza del terremoto che sconvolse Napoli. Io ero reduce da un altro grande sisma, quello del Friuli nel 1976. Avevo già visto con i miei occhi la disperazione delle persone, la rabbia per la ricostruzione e l’importanza che il calcio ha per tenere su il morale».

Era il 23 novembre del 1980.

«Eravamo in autobus tornando da Bologna e il dirigente Resi fece finta di aver parlato con la moglie: “tutto ok, solo tanta paura a Napoli”, disse. Sapevamo che diceva una bugia. Arrivammo in tangenziale e trovammo migliaia di auto ferme. Nicolini, che aveva sempre la battuta pronta, scherzò: «Ammazza’, non credo che siano venuti a salutarci perché abbiamo pareggiato a Bologna…».

Le due squadre della sua vita, Napoli e Udinese, giocano stasera.

«Prima o poi mi dovranno fare una targa, come quella che hanno dedicato a Zico. Il primo gol nel giorno dell’inaugurazione dello stadio Friuli l’ho fatto io, contro il Seregno. Il Napoli può vincere lo scudetto, forse ora è persino la favorito. E l’Udinese deve giocare una gara perfetta se non vuole perdere».

Lo scudetto lo ha sfiorato nel 1981?

«Krol e Guidetti lanciavano per me e per Damiani, la fantasia di Nino Musella, mio compagno di stanza per anni. Potevamo aprire un ciclo, ma allora Ferlaino non era così convinto. L’estate dopo ci aspettavamo che comprasse Graziani e Pecci, invece vendette Marangon».

Ha giocato con grandi campioni.

«Rudy era un incanto. Dirceu aveva un piede da brasiliano puro e poi con Socrates con cui ho diviso la stanza per un anno alla Fiorentina e non so quanti pacchetti di sigarette. All’inizio non fu semplice mandare giù quella cessione, proprio quando arrivava Maradona. Ma Diego voleva con sé Bertoni. Socrates era anticonformista e una volta mi fece arrabbiare».

Quando?

«Eravamo ospiti a Maranello e ad accoglierci c’era Enzo Ferrari in persona. Socrates lo snobbava, quasi infastidito. Dissi che era una cosa irrispettosa perché aveva avanti a sé un pezzo di storia d’Italia».

A Napoli affrontò pure la contestazione fatta con le bombe?

«Quelle che avevano messo a casa Ferlaino. Come pure gli incidenti in un Napoli-Roma, dopo che avevo fatto gol ma perdemmo 3-1. Andare a Soccavo non era semplice. Ci salvammo grazie a Pesaola. La salvezza è stata come lo scudetto che non abbiamo vinto».

Al Mondiale del 1982 ha mai pensato?

«La classifica cannonieri di quel campionato vide primo Pruzzo, secondo Bivi e terzo io. Non andò nessuno di noi tre. Mi incazzai, poi con Paolo Rossi abbiamo conquistato quella coppa del Mondo».

Cosa fa adesso?

«Mi diverto a fare il fotografo, dopo aver chiuso le mie scuole calcio a causa della pandemia. Faccio mostre, a Tolentino, Camerino, Foligno. In una ci sono io che guardo la porta del San Paolo prima di un allenamento».

Pellegrini, oggi, a Claudio cosa direbbe?

«Brutto str… contro il Perugia buttati con tutta la panza e con il pallone dentro la porta: quel palo che ho colpito mi insegue ancora nei miei ricordi e nei miei incubi. È la partita che rigiocherei ogni giorno. Perché quella sconfitta ci costò lo scudetto. Altro che la Roma e il gol annullato annullato a Turone».

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