Perché non esiste più il derby del Sole?

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Questa è una storia di amicizie nata davanti a una pastasciutta e finita con i coltelli in mano. Napoli e Roma, quando l’asse Milano-Torino si divideva gli scudetti, stavano a fianco, ribadendo la propria identità sventolando insieme la bandiera di un Centro-Sud che – nella geografia del calcio di quegli anni 60 e 70 – era rappresentato da loro, con poche altre intrusioni che però, da Catanzaro a Palermo, da Avellino a Catania, vivevano fulminee stagioni di gloria per poi scivolare di categoria.

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Nella storia delle sfide tra i due club, c’è stato un tempo candido segnato dal “volemose bene”, e ci si riferisce qui agli anni 40 e 50 quando le cronache davano contezza di pacifiche invasioni – quando a muoversi erano fino a diecimila tifosi napoletani all’Olimpico – e passeggiate condivise verso lo stadio. C’è persino un film, “La domenica della buona gente” di Majano, uscito nel 1953, che restituisce quel clima amichevole: nella commedia, infatti, i napoletani vanno in trasferta a Roma armati, si fa per dire, di chitarre e mandolini, con un ciuccio al guinzaglio. Quel tempo, però, non era esente da episodi di cronaca nera e la tensione agonistica che si respirava in campo si trasferiva, un attimo dopo il triplice fischio, anche tra le strade della città che ospitava la partita. Dopo un Roma-Napoli 0-0 del novembre del 1950 le due fazioni di tifosi si diedero appuntamento sull’Appia Nuova. Ne nacque una violentissima rissa, lì, tra un condominio e l’altro, con i residenti che si videro costretti a telefonare alle forze dell’ordine. La Celere intervenne proprio quando i romanisti, dopo aver trafugato decine di mele da un banco della frutta, stavano lanciando le stesse contro i napoletani. La colluttazione finì’ con un fuggi fuggi generale.
LA VICINANZA
 
Il 24 ottobre del 1965 è una data storica perché i napoletani all’Olimpico erano trentamila, tutti al seguito di una squadra – quella di Sivori, Altafini e Canè – che all’epoca era capolista. Decine di treni, più di duecento pullman, due voli di linea, quindicimila auto. La polizia stradale di Napoli il sabato della vigilia annunciò che “Chi non avrà le gomme in ordine e chi vorrà viaggiare con sette persone a bordo verrà fermato”. A rileggere le cronache sale una tenerezza immensa, quando si dà notizia che tre studenti ventenni del Vomero sono partiti per Roma, la sera prima, in bicicletta; o quando si dice di tale Salvatore Cannavale, ortolano di Fuorigrotta, che si presentò allo stadio con il suo asino, di nome “Ciccillo”, bardato dei colori azzurri del club partenopeo; o quando si ricorda che i tifosi senza biglietto si arrampicarono sugli alberi di Monte Mario. Era un’Italia ancora ingenua. Ma anche questa atmosfera fiabesca era percorsa da una traccia nera. Agli ingressi dell’Olimpico, infatti, quella domenica vennero sequestrati esplosivi per 125 chili.
IL GESTACCIO
 
Nasceva proprio in quegli anni il Derby del sole, proprio a certificare la luce che ammantava una sfida forse minore – come detto gli scudetti erano destinati altrove – ma speciale. La perdita dell’innocenza, e la fine del gemellaggio hanno una data precisa. È il 25 ottobre del 1987 quando Salvatore Bagni, mediano del Napoli di Maradona fresco di scudetto, festeggia il gol del pareggio con il gesto dell’ombrello, proprio sotto la Curva Sud. È la miccia che fa esplodere la tensione accumulata fino ad allora. Il calciatore in seguito si scuserà, ma nulla sarà più come prima. Negli anni 90 e nei primi anni del Duemila gli scontri si ripetono con cadenza regolare, ogni volta sono i cordoni delle forze dell’ordine a spendersi nel tentativo di tenere separate le due tifoserie. E anche il rito con cui, prima di ogni derby, i tifosi delle due squadre a turno si avvicinavano alla curva avversaria sventolando il loro vessillo tra gli applausi, viene annullato. Nel 2001 i tifosi della Roma si spostano in massa a Napoli: c’è uno scudetto che sta arrivando, ma la festa viene rinviata di una settimana. Non la guerriglia: Fuorigrotta quel giorno è devastata dalla rabbia degli ultrà giallorossi.
LA VITTIMA
 
Il “casus belli” equivale all’inizio di una nuova storia, con una escalation di violenza impressionante che ha il suo momento più tragico con la morte del giovane tifoso napoletano Ciro Esposito. E’ sabato 3 maggio 2014, giorno della finale di Coppa Italia tra Napoli e Fiorentina, quando Daniele De Santis detto “Gastone” – ultrà della Roma – carica la sua Beretta 7,65 e spara quattro colpi di pistola colpendo a morte Ciro Esposito e ferendo Alfonso Esposito e Gennaro Fioretti. Ciro Esposito muore dopo cinquantadue giorni di agonia all’ospedale Gemelli di Roma. Da lì in poi, scontri, rappresaglie, vendette, attacchi, risse, auto in fiamme, treni devastati, sassi, petardi, agguati, feriti a decine e decine, lanci di razzi e bombe carta, quartieri tenuti in ostaggio ora a Napoli e ora a Roma. Il cosiddetto “Patto anti nordista” degli anni in cui l’asse Napoli-Roma formava una sorta di Contropotere calcistico viene dimenticato. Così come le tavolate imbandite fuori dallo stadio, le marce condivise agli ingessi, i gemellaggi, le curve aperte del San Paolo ai tifosi della Roma, gli accordi di non belligeranza, lo scambio di bandiere e gagliardetti. Sul Derby del Sole, cala definitivamente un’ombra cupa.
Fonte: Gazzetta dello Sport
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