Sinner e il peso della solitudine dei campioni: come Maradona, anche i fuoriclasse hanno bisogno di sentirsi umani

Anche Sinner è umano. Ne parla la gazzetta dello sport nell’edizione odierna

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Durante la semifinale del Roland Garros contro Shelton, Jannik Sinner ha vissuto uno dei momenti più intensi e umani della sua carriera. Dopo aver ottenuto il break nel secondo set, il campione altoatesino si è girato verso il suo angolo, ma non ha ricevuto alcuna reazione dal coach Darren Cahill né dal resto del team. Nessun applauso, nessun segno di entusiasmo. Quell’attimo di silenzio, per Sinner, ha significato molto più di quanto possa sembrare: la paura di essere diventato “troppo bravo”, al punto da non stupire più nessuno.

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Il gesto di disappunto di Jannik — quel “Perché non esultate?” gridato con rabbia e smarrimento — non è stato un capriccio, ma una scintilla di umanità. Perché anche i campioni, quando raggiungono l’eccellenza, rischiano di sentirsi soli. È la condanna dei fuoriclasse: la distanza che il talento crea tra loro e il resto del mondo.

Un tempo, anche Diego Maradona conosceva quella solitudine, ma attorno a sé aveva uomini veri: Ferrara, Bagni, Giordano, Carnevale. Compagni che lo aiutavano, lo proteggevano, lo riportavano con i piedi per terra. Sinner, nel suo momento di tensione, ha temuto di aver perso quella vicinanza.

Alla fine, dopo la vittoria e la conquista del titolo, ha ritrovato il calore del suo gruppo, abbracciando Cahill e gli altri in un cerchio di affetto sincero. È tornato a essere il “dio” del tennis, ma anche un ragazzo che sa quanto, senza le persone accanto, neppure il talento più grande può bastare.

Fonte: Gazzetta dello Sport

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