Noi ragazzi del ‘66 ci innamorammo dei signori d’Olanda negli anni Settanta, quando i miti per cui avevamo tifato davanti al televisore in bianco e nero nella finale del Mondiale ‘74 di Germania li toccammo con mano. E scoprimmo la magia di quei campioni dai capelli lunghi, che rappresentavano una rivoluzione calcistica, anche se noi non potevamo saperlo. Capimmo che c’era un vento nuovo nel calcio, quando due anni dopo quel Mondiale arrivò al cinema il documentario “Il profeta del gol” di Sandro Ciotti, la voce che spesso ci raccontava le partite del Napoli alla radio. Era piena, quel pomeriggio, la sala del Metropolitan per assistere a un film dedicato a Johan Crujff, anche perché Ciotti vi inserì un personaggio amatissimo dai tifosi del Napoli: Antonio Juliano, il capitano della squadra che sognava lo scudetto. Totonno non poteva immaginare che qualche anno dopo la sua strada si sarebbe incrociata con quella di un altro grande d’Olanda: Ruud Krol.
Nasce così il “legame” tra Napoli e il calcio olandese. Avemmo anche la possibilità di ammirare Crujff allo stadio San Paolo, primavera del ‘78. Il Profeta, stella del Barcellona, aveva rinunciato (non si seppe mai se per un infortunio o se per la minaccia dell’Eta di rapire un suo familiare) alla convocazione per i Mondiali in Argentina, quelli in cui l’Olanda avrebbe giocato e perso un’altra finale e il capitano della Seleccion Daniel Passarella avrebbe alzato al cielo la Coppa del mondo mentre il regime sequestrava uomini e donne, decretandone le condanne a morte. Crujff venne a giocare un’amichevole e fu un grande evento. Ci mettemmo in fila ad aspettarlo nel salotto dell’hotel Royal sul lungomare di via Partenope.
Non essendovi telefonini, lui – impeccabile in divisa sociale – fu gentile ad aspettare che i genitori scattassero la foto e a fare per tutti l’autografo con dedica. E due anni dopo sarebbe arrivato Rudi, uno di quei calciatori a cui i napoletani si sarebbero più legati non soltanto per la sua – immensa – classe. Era uno di noi, girava per le strade della città, di giorno e di notte. Mai si nascondeva, disponibile sempre. D’inverno, spesso indossava solo una polo attraversando via de’ Mille. Mangiava una banana e andava ad allenarsi. Faceva impazzire i napoletani e innamorare le napoletane.
Un uomo del Nord che diventò re nella capitale del Sud. I tifosi di tutte le età lo aspettavano alla fine degli allenamenti per una foto o per parlargli e lui, sorridendo, provava a rispondere in italiano. Non prendeva lezioni private, imparava ascoltando i discorsi negli spogliatoi. Nelle circostanze ufficiali aveva un interprete che diventò il suo primo amico a Napoli: Bruno Rispoli, impiegato dell’Ente del turismo che il club azzurro utilizzava in occasione delle gare internazionali. I giocatori, il sabato pomeriggio, uscivano dal ritiro e vi erano decine di tifosi che aspettavano in piazza dei Martiri l’arrivo del pullman grigio e azzurro della ditta Velotti che li accompagnava al cinema: un boato quando scendeva Rudi.
Napoli, fino a quel 1980 in cui vennero riaperte le frontiere chiuse dopo il fallimento del Mondiale del ’66 perché si pensava che fosse quello il sistema per rilanciare il calcio italiano, si era legata a calciatori arrivati dai Paesi sudamericani, come Altafini, Pesaola, Sivori e Vinicio, anche se qui aveva avuto grande popolarità lo svedese Jeppson. Erano stati gli attaccanti ad eccitare le folle del Collana e del San Paolo, mai un difensore. Ma Krol era molto altro ed è rimasto nella storia. Pensate soltanto a questo. A più di quarant’anni dall’ultima sua partita in azzurro, il lancio del portiere Milinkovic-Savic a Spinazzola nell’azione del gol di Anguissa nell’ultima gara Napoli-Genoa è stato definito «un lancio alla Krol». E i tifosi più anziani, quelli che sognarono lo scudetto con l’olandese, hanno confermato.
Krol aveva 31 anni quando sbarcò a Napoli. Una carriera straordinaria con l’Olanda e l’Ajax, la squadra che improvvisamente irruppe nel firmamento calcistico europeo, volando più in alto di Inter e Real Madrid, perché vinse tre Coppe dei Campioni, una Supercoppa europea e una Coppa intercontinentale. Si era rifugiato nel calcio americano, la prima ricca nuova frontiera fuori dal Vecchio continente, firmando il contratto con una squadra canadese, i Whitecaps di Vancouver.
E qui lo pescò Juliano, che era tornato a Napoli dopo aver chiuso la carriera da calciatore a Bologna per diventare il direttore generale. Ci voleva un comandante della difesa, un leader. Ci voleva Krol. E per lui Totonno, che odiava i viaggi in aereo, volò in Canada. Ad accogliere Rudi a Capodichino duemila tifosi. Si capì subito qual era la portata dell’operazione. Riaperta la campagna abbonamenti, che allora era la principale entrata per un club, e subito incassati 300 milioni di lire. Sulle spalle Rudi non portava il 10 ma il 5, tuttavia ebbe la capacità di scatenare lo stesso entusiasmo di Maradona. Bastò il lancio a Pellegrini da 50 metri e il gol dell’attaccante alla Pistoiese nel giorno del suo debutto, il 28 settembre 1980, per conquistare quella tifoseria che sognava che la storia potesse cambiare e che il piazzamento in zona Uefa o la finale di Coppa Italia non fosse più il massimo per il Napoli.
Il primo dei quattro campionati di Krol – 125 partite e un gol al Brescia – fu anche quello del dramma del terremoto. Il 23 novembre 1980 Napoli si scoprì ancor più fragile. Neanche per un attimo lui pensò di fare le valigie e tornare in Olanda, o recuperare il rapporto con i canadesi che lo avrebbero subito riabbracciato. Anzi, il legame con lo spogliatoio in ansia e la città ferita diventò sempre più forte. Krol e il Napoli iniziarono a lottare per lo scudetto, entrando a gamba tesa nella sfida tra Juve e Roma. Finché non arrivò la sconfitta al San Paolo contro il Perugia, 0-1 per un’autorete di Ferrario. C’è chi vide in un eccesso di euforia popolare la causa del calo di tensione della squadra quasi prossima al traguardo. Il popolo del San Paolo, a inizio di quella partita, aveva esposto lo striscione “Comunque vada grazie lo stesso”.
Era stato un viaggio bellissimo, non si sarebbe ripetuto nei successivi campionati di Krol, che “scese” tra gli umani nel campionato 1982-1983, quando il Napoli rischiò la retrocessione. Lo salvarono Pesaola e il suo vice Rambone, maestro della preparazione atletica. Lo salvò Rudi con la sua forte personalità. Nel momento di difficoltà di una gara – e ve ne furono tanti in quella stagione – saliva dagli spalti il coro “Rudi Rudi”: era un’invocazione, quasi la richiesta di un miracolo. Per Krol, intanto, emergevano problemi fisici, iniziati con una lesione al menisco. Il Napoli nella stagione 1983-1984 prese Marco Masi, giovane del Catanzaro, come suo vice e a fine campionato le strade si divisero. Qui arrivò Maradona. Nella storia del Napoli e di Napoli resta sempre un posto per lui, accolto con tutti gli onori quando viene allo stadio o va a cena da “Mimì alla Ferrovia”, da sempre il suo ristorante preferito. Ha preso anche casa qui. Perché l’amore resta.
Fonte: Il Mattino
