Omar Sivori: il primo “pibe de oro” prima di Maradona e la fine dei numeri 10
È stato un talento che crea dipendenza: impossibile staccare gli occhi dai suoi dribbling, dalla creatività, dai suoi gol. Il primo “pibe de oro” era lui, prima che il soprannome venisse passato a Maradona
Nella rubrica Portofranco sulla Gazzetta in edicola, un nostro lettore, Fabio Giacomo Cobianchi, chiede a Franco Arturi: “Caro Arturi, pochi giorni fa è ricorso il novantesimo anniversario dalla nascita di Omar Sivori: il suo ricordo ci riporta al calcio di una volta, quando i calendari erano meno ricchi di partite e un semplice pallone di cuoio poteva diventare magico. Che ricordi ha del Cabezòn?”
Questa la risposta: Doppia ricorrenza, visto che in questo 2025 cade il ventesimo della sua morte. Omar è stato un personaggio enorme: qui posso soltanto accendere qualche flash sul suo percorso da giocatore. Comincio dai suoi calzettoni abbassati, oggi proibiti dal regolamento, ma che significavano negli Anni 60 anticonformismo, ribellione alle regole, sfida agli avversari (“Non temo le tue botte, semmai le prendi da me”). Sivori in campo era irriducibile, cattivo, a volte irridente: nel suo curriculum ci sono ben 33 giornate di squalifica, praticamente un campionato intero saltato degli undici e mezzo giocati in Italia fra Juve e Napoli. Ma ha chiuso la carriera con 6 scudetti, tre col River Plate e tre con la Juve, tre Coppe Italia e 147 gol nel nostro campionato.

Com’era il giocatore tecnicamente? Nessuno lo ha definito meglio dell’Avvocato Agnelli: un “vizio”. Cioè un talento che crea dipendenza: impossibile staccare gli occhi dai suoi dribbling, dalla creatività, dai suoi gol. Il primo “pibe de oro” era lui, prima che il soprannome venisse passato a Maradona, di cui è stato in tutto e per tutto un precursore. Di Diego aveva la stessa taglia piccola ma robusta, il sinistro magico, la personalità carismatica, le doti da primattore. Omar aveva nonno e mamma originari del nostro Paese: aveva dunque molto più sangue italiano di tanti oriundi venuti da noi, fino a Mateo Retegui. E comunque nel 1961 fu il primo Pallone d’oro espresso dal nostro calcio, sette anni prima di Gianni Rivera.
Omar Sivori era un “dieci”, proprio come Rivera, Pelé e talvolta Maradona: un numero e un ruolo divenuti mitici nel tempo, ma che in realtà il calcio moderno ha di fatto abolito. Nessuna squadra al mondo, per esempio, potrebbe giocare con tre punte più un trequartista puro, Rivera appunto, come faceva il Milan di Nereo Rocco negli Anni 60. I bravissimi finti 10, per limitare il discorso al nostro calcio, come Totti, Del Piero, Baggio e Zola, sono stati tutti in realtà secondi attaccanti. Il “dietro le punte” è diventato un luogo dell’anima, frequentato oggi solo di passaggio da robusti centrocampisti-maratoneti. A nessun Sivori sarebbe oggi permesso di vagare per il campo in attesa del suo numero, senza compiti di interdizione e rincorsa degli avversari.

Nostalgia? Per quei nomi, a partire da Sivori, certamente. Ma l’evoluzione del calcio non si ferma e il talento non è certo scomparso, si è soltanto trasferito dieci metri più avanti, vedi Messi, Ronaldo, Dembélé, Jamal. I geni di centrocampo, come Pirlo, Modric, Rodri devono sobbarcarsi molta fatica in più dei “10”. Che restano, ancor più per questo, delle opere d’arte in mostra nelle teche della memoria e di YouTube. E Sivori merita una sala tutta per sé in questo museo delle meraviglie calcistiche. Fonte: Gazzetta
