LO STORICO PREPARATORE ATLETICO DEL PIBE A NAPOLI PER UN CONVEGNO RICORDA IL DRAMMA DELLA COCAINA
È tornato a Napoli dopo otto anni. «Bellissima, ogni volta è un tuffo al cuore». Fernando Signorini, El Profe, dalla Mostra d’Oltremare dà uno sguardo allo stadio che porta il nome del suo eterno amico. «Undici anni vissuti accanto a Maradona». Ospite di Luigi Amore al convegno dell’Ordine dei fisioterapisti, il preparatore atletico argentino ha ritrovato vecchi amici come Lino Russo, che era un giovane medico nel Napoli di Diego. Si sono abbracciati e hanno ricordato anche quel giorno a Torre Annunziata. «Il Napoli aveva vinto da poco il primo scudetto, le cose per Diego non andavano bene. Sapevo che Lino collaborava con una comunità per il recupero di tossicodipendenti, “La Tenda” di don Antonio Vitiello. Partecipai a una terapia di gruppo, volevo capire se in quel posto potessero aiutare Diego. Un ragazzo mi consegnò un libro per lui, c’era questa dedica: “Non c’è un posto al mondo così sicuro per nascondersi da noi stessi”. Lo portai con me». Signorini abitava a via Manzoni, Maradona a via Scipione Capece. «Ci vedevamo quasi tutti i giorni, esclusi quelli…». Quelli in cui Diego non usciva dalla sua stanza, dopo tanta cocaina. «Gli parlai. Maradona non voleva essere aiutato, Diego sì: sentiva questa necessità. Maradona disse che sapeva gestirsi».
Diego e Maradona, un corpo e due anime. Maradona respinse l’offerta di aiuto dell’amico Fernando, El Profe, entrato nel suo clan dopo l’infortunio con Goicochea a Barcellona. «Quasi gli massacrò una gamba e allora Diego volle me come preparatore personale. Un giorno dissi scherzando a Goicho che gli dovevo tutto». Diego e Maradona, così diversi. «Diego, l’uomo, aveva fragilità da curare come tutti. Maradona, il campione, era l’idolo delle folle e sembrava indistruttibile». Signorini dà un altro sguardo allo stadio. «L’ultima volta vi entrai il 17 marzo del ‘91, ricordo anche il giorno. Si giocava Napoli-Bari. Diego alla fine fu sorteggiato per il doping, c’era Zola. Lo sentii urlare il nome di Moggi… Tutti sapevano ma fino alla fine dovevano spremere il succo da quel limone». La vita del Capitano dei due scudetti e della Coppa Uefa era stata stravolta dalla cocaina. «Il professore Donike, un luminare di Colonia che era stato scelto come perito per le controanalisi dopo la squalifica del ‘91, chiese all’avvocato Siniscalchi come sarebbe stato curato una volta tornato a Buenos Aires. E Siniscalchi gli parlò di un team con lo psicologo e altri medici. Donike sbuffò. “Come curare il cancro con una caramella” disse. Indicò un centro per il recupero a Colorado Springs, dove Diego non andò mai».
Napoli e Maradona, amore infinito. «C’è una spiegazione, legata non solo alle vittorie: Diego è stato il riscatto sociale. Quando arrivammo, era preoccupato: notava la differenza di valore rispetto ai club del Nord, poi superata grazie a lui e ai suoi compagni. Voleva lasciare un segno cancellando le vergogne razziste in quegli stadi del Nord. Napoli aveva bisogno di Maradona per vincere? Io dico che Maradona aveva bisogno di Napoli per arrivare ancora più alto, come fece in quell’anno fantastico in cui vinse il Mondiale a Città del Messico e lo scudetto a Napoli, la sua Napoli». A quasi cinque anni dalla sua morte, il processo in Argentina non è ancora ripreso. Secondo Signorini, che da tempo era uscito dal clan, chi ha accelerato la sua fine? «Lui non voleva più vivere dopo la morte della Tota e del Chitoro, la madre e il padre. Diceva: sogno che si apra una porta ed entrino loro».
Fernando continua a combattere una battaglia nel nome di Maradona per un calcio più vicino ai calciatori e al popolo. «Nel ‘96 Diego fondò un sindacato con Cantona e adesso servirebbe più che mai perché si gioca troppo e vi sono continui infortuni. Bisognerebbe giocare un massimo di 45 partite in una stagione. E invece i calciatori accettano tutto, sono pecore. Me lo diceva tanti anni fa Luis Menotti, il ct dell’Argentina mondiale del ‘78: vedrai cosa succederà quando il pallone rimbalzerà dal campo alle scrivanie dei potenti d’Arabia. Lui, come Diego, sapeva già tutto».
Fonte: Il Mattino
