Reja: “Napoli, la svolta, ma che litigate con De Laurentiis!”

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Edy Reja. Ottant’anni domani. Quasi tutti trascorsi sui campi di calcio. Da quando, adolescente, cominciò la carriera da calciatore fino a due anni fa, quando — a 78 anni — ha deciso di “appendere” la panchina al chiodo. Intervista de La Gazzetta dello Sport:

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Oggi si gode la sua casa di Lucinico, a Gorizia, con la moglie Livia e quando può (quasi sempre) inforca la bicicletta per le sue tradizionali passeggiate a due ruote oppure arriva fino a Trieste per assecondare l’altra grande passione, la vela. “E come tradizione festeggerò il compleanno alla Barcolana (la kermesse velica che si svolge ogni anno in questo periodo a Trieste, ndr). L’ho sempre fatto, tranne quando allenavo l’Albania, perché la data della regata coincideva con gli impegni delle nazionali”.

L’Albania è stato l’ultimo capitolo di una storia lunghissima, iniziata nei primi anni 60 del secolo scorso. 

“Avevo 16 anni, mi chiamò la Spal di Paolo Mazza, all’epoca una realtà prestigiosissima. È stata la mia fortuna”. 

Anche perché lì nacque uno dei sodalizi più importanti della sua vita. 

“Con me, sempre dal Friuli, arrivò anche Fabio Capello. Diventammo subito amici e non ci siamo mai persi di vista. Vivevamo nello stesso appartamento, giocavamo assieme a centrocampo. Lui era tecnicamente molto più bravo, ma io correvo tanto…”. 

E a Ferrara ha anche trovato moglie. Anzi, avete trovato moglie, sia lei sia Capello. 

“Me la presentò proprio Fabio, era la migliore amica di quella che sarebbe diventata sua moglie”. 

Le vostre strade calcistiche si sono poi separate. 

“Sì, io andai a Palermo, dove vissi una bellissima esperienza di vita e calcistica, ma…”. 

Ma? 

“Mi stavo trasferendo al Cagliari, l’anno prima dello scudetto. All’ultimo momento ci fu un’offerta più alta del Palermo e Mazza mi cedette a loro. Avrei potuto diventare campione d’Italia con Riva…”. 

Le soddisfazioni maggiori se le è prese da tecnico. Ma ne ha dovuta fare di strada… 

“Sarei potuto arrivare prima in A, ma dopo averla conquistata con Vicenza, Brescia e Cagliari preferii fare altre scelte”. 

Per via di quel caratterino che l’ha portata spesso a scontrarsi con i presidenti. 

“Preferisco essere chiaro e questo a volte può essere un problema. Con Corioni (a Brescia, ndr) e Cellino (a Cagliari, ndr) lo è stato…”. 

A Cellino deve essere però grato, no? 

“Assolutamente sì. Avevo 58 anni e avevo deciso di smettere di allenare, non avevo più voglia. Fu lui a convincermi a proseguire”. 

A Cagliari ottenne la terza promozione in A dopo quelle con Brescia e Vicenza. In seguito ci fu quella doppia con il Napoli. Un vero specialista del ramo. L’etichetta la inorgoglisce o la ritiene riduttiva? 

“Ma no, mi fa piacere. Anche perché io le promozioni le considero sette. Anzi, otto, con quella dell’Albania dalla C alla B di Nations. Con il Torino persi la A allo spareggio. E con il Cosenza la mancammo per un solo punto”. 

Ci andò vicino pure a Pescara, la prima svolta della sua carriera. 

“Vero. Prima avevo allenato solo tra C2 e dilettanti. A Pescara mi chiamò Galeone per allenare la Primavera, poi arrivai in prima squadra, in B. A Giovanni devo tanto, senza la sua chiamata non sarebbe andata così”. 

Napoli è l’altra grande svolta. 

“Partimmo dalla C e arrivammo in Uefa. Lanciammo giocatori come Hamsik e Lavezzi. Fu l’inizio di un ciclo che dopo tanti anni ha portato quella società a vincere due scudetti”. 

Con Aurelio De Laurentiis grande sintonia ma anche grandi scontri. 

“Mi dimisi un paio di volte, ma poi tutto rientrò nel giro di 24 ore con una semplice telefonata. Il presidente è fatto così. Ma è un uomo straordinario e un manager incredibilmente bravo. Ha fatto e continua a fare cose straordinarie”. 

Dopo De Laurentiis, Lotito… 

“Altro manager bravissimo. A Roma molti tifosi non lo amano, ma ciò che ha fatto per il suo club è notevole. Anche con lui qualche scontro c’è stato, ma tutto è rientrato subito”. 

Con la Lazio ottimi risultati, ma anche il rimpianto più grande. 

“Collezionai un quarto e un quinto posto (il quarto è il suo miglior risultato in A, ndr), ma in entrambi i casi fallimmo d’un soffio la Champions, in uno per la differenza reti…”. 

Tra i suoi presidenti c’è pure Percassi.

“Grande imprenditore, grande conoscitore di calcio, essendo un ex giocatore. Ha costruito un miracolo all’Atalanta”.

E anche qui è stato lei ad aprire il ciclo.

“Già. Ma poi è stato fondamentale l’arrivo di Gasperini. Che consigliai io a Percassi. Loro stavano trattando con Maran. Gasperini lo avevo avuto come giocatore a Pescara ed ero convinto potesse essere la persona giusta”.

Le ha dato ragione…

“Di più. Io penso che quello che ha fatto non è stato capito fino in fondo. Lui è stato un innovatore al pari di Sacchi. Ha portato un nuovo modo di giocare. All’estero lo hanno studiato attentamente e poi copiato. Farà bene anche con la Roma”.

Centinaia di giocatori allenati. I più forti?

“Ne dico due. Pirlo, che ho lanciato in B a Brescia quando aveva 18 anni. E Klose, calciatore di una forza mentale e di una professionalità inimmaginabili”.

Quello che avrebbe potuto fare di più?

“Matuzalem. Classe cristallina, da vero fuoriclasse. La testa però non era da atleta”.

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