ESCLUSIVA – Gaetano Manfredi al CdS : «Il Napoli nella rinascita della città. Cosa mi piace? VINCERE»

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È sindaco di Napoli dal 18 ottobre del 2021. Sono quasi quattro anni. Ha portato a Napoli l’America’s Cup, una delle cinque manifestazioni sportive più importanti a livello mondiale. Nel 2003, ricordiamolo, Napoli venne sconfitta da Valencia e perse l’opportunità. Come tutti i miti, guai a sottovalutarlo. Instancabile lavoratore e tessitore. È alla perenne ricerca di soluzioni. È riuscito a far accettare l’idea – per Napoli rivoluzionaria – che per vedere rinascere Bagnoli bisognasse rinunciare all’eliminazione della colmata a mare (una enorme piattaforma di cemento di circa 200mila metri quadrati a ridosso della costa). Sul punto sono caduti tutti i suoi predecessori. Tranne lui. Non a caso, poche settimane fa il Foglio lo ha indicato come il candidato più autorevole del centrosinistra a Palazzo Chigi. Lui per ora fa il sindaco di Napoli e il presidente dell’Anci (associazione nazionale comuni italiani).

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Il Corriere dello Sport lo ha intervistato in vista dell’esordio casalingo del Napoli in Champions League, stasera contro lo Sporting, anche per fare il punto sulla città diventata un punto di riferimento anche nello sport internazionale.

Che rapporto ha con lo sport? Lo praticava da giovane? 
«Ho un buon rapporto, quando ero più giovane lo praticavo a scuola. Giocavo a pallacanestro, ero abbastanza alto ma non sufficientemente alto, giocavo guardia. Ho giocato anche a calcio, mai però a livello agonistico. Ero centrocampista. Me la cavavo».

Il cervello della squadra?
«Il cervello proprio no, diciamo un Tardelli».
Veniamo all’oggi. Qual è l’aspetto che più la inorgoglisce dell’essere riuscito a portare a Napoli l’America’s Cup?
«La scelta di Napoli è un riconoscimento a livello globale. Napoli ha una caratteristica. Oltre a essere una città attrattiva, è anche molto identitaria. L’identità è un valore particolarmente importante e riconoscibile in un mondo globalizzato come il nostro. La scelta di Napoli significa che è diventata una città anche affidabile. Quando consegnano nelle tue mani un evento di tale rilevanza, vuol dire che si fidano della capacità di accoglierlo, di organizzarlo e di garantirne un buon risultato. È il coronamento del lavoro svolto negli ultimi anni, abbiamo restituito grande affidabilità alla città».

Passiamo a un vero e proprio moloch cittadino: Bagnoli. È riuscito a far accettare l’idea della colmata a mare.
«Se si fosse mantenuta l’idea di togliere la colmata, non ci sarebbe mai stato il risanamento della costa di Bagnoli. Mantenere la colmata è stata la scelta più logica, consente di poter fare le cose. Questo è il punto».

E consente di far tornare balneabile Bagnoli. 
«Ci siamo concentrati su come riuscirci dal punto di vista tecnico. L’obiettivo era riacquistare il rapporto con il mare. I turisti che vengono a Napoli, vogliono andare a mare, pensano a dove poter fare il bagno. Dieci anni fa, ma anche cinque, questo era impossibile. Ci siamo posti come target la possibilità di restituire il mare alla città, far tornare il mare balneabile. Non solo a Bagnoli ma anche nella parte orientale, Napoli Est. È un passaggio molto importante per la città. Se paragoniamo Napoli a Barcellona, prendiamo come esempio la spiaggia di Barceloneta e pensiamo a cos’era trent’anni fa e a cos’è oggi».

Lei ha citato Barcellona. Lì oggi imperversa il dibattito sulla perdita dell’anima della città proprio a causa dell’eccesso di turismo. Uno dei temi più attuali dell’urbanistica è la gentrificazione, ossia lo svuotamento dei centri storici da parte dei residenti in nome del turismo. C’è il rischio che anche Napoli si snaturi?
«A Napoli è più difficile. Perché qui l’identità è un totem forte, parliamo di una città molto popolare. Il centro storico è abitato dal popolo, non dalle élite. Da questo punto di vista, quindi, è meno aggredibile. È chiaro che i flussi di turismo vanno governati ed è il motivo per cui stiamo lavorando su un’idea di città molto ampia. Da Bagnoli a Napoli Est. Una città che guardi ai Campi Flegrei, alla costa verso sud. Dobbiamo essere capaci di spalmare i flussi turistici su un’area più vasta, non solo della città ma dell’area metropolitana. Proprio per evitare che la pressione diventi eccessiva».

In questa rinascita e crescita cittadina qual è stato il ruolo del Calcio Napoli? 
«Il Calcio Napoli ha avuto un’importanza straordinaria, siamo molto grati alla società e ad Aurelio De Laurentiis. Ha contribuito in maniera importante all’immagine di Napoli città vincente. Per troppo tempo ci siamo lamentati, ci siamo considerati sfigati. Il calcio e la squadra hanno invece dimostrato che a Napoli si può vincere. E non è poco. Aiuta l’autostima, contribuisce a offrire all’esterno l’immagine di una città che vince. È molto importante anche a livello internazionale. Il Napoli è stato uno sprone. Ha dato fiducia alla città».

Quindi De Laurentiis se la merita la laurea honoris causa?
«È una decisione che deve prendere l’università, anzi che ha preso (ma non è stata ancora decisa la data, ndr). Io non voglio interferire. Noi come Comune di Napoli stiamo decidendo di conferirgli la cittadinanza onoraria. Per quello che ha fatto e sta facendo per la città».

Parliamo del Maradona e della possibilità che ospiti gli Europei del 2032.
«Stiamo lavorando a un progetto e stiamo cercando le risorse economiche per renderlo realizzabile. Se guardiamo ai numeri di Milan e Inter per San Siro, parliamo di un miliardo e 200 milioni. Sono numeri enormi. Noi lavoriamo sulla nostra idea. C’è un confronto continuo con la Uefa e con il Calcio Napoli per i lavori che ci sono da fare. Cercheremo di trovare la migliore soluzione possibile. Valutando ogni alternativa con grande disponibilità».

Che ne pensa della vendita di San Siro? 
«Credo che la vendita in cambio di un investimento rilevante anche sull’area, sia nell’ordine delle cose. San Siro, come il Maradona, è un simbolo della città. Visto che i club hanno deciso di investire in maniera così importante, era un passo da fare. Se a Napoli ci fosse una situazione analoga, ci penseremmo anche noi».

Quindi è aperto alla vendita del Maradona? 
«Se ci fosse un investimento importante sullo stadio, il tema si porrebbe. Ovviamente sarebbe la fine di un percorso di valutazione dello stadio. Ci sono delle regole da rispettare, un iter da seguire, parliamo di un bene pubblico che è nella disponibilità dell’amministrazione. Nel rispetto delle regole dello Stato. In cambio dell’investimento sullo stadio, siamo disposti a valutare anche la cessione dell’impianto alla fine dell’investimento o in cambio dell’investimento. C’è una procedura amministrativa da seguire: a Milano ci lavorano da sei anni. Noi siamo aperti a qualsiasi soluzione».

Anche all’eventuale demolizione del Maradona? 
«Non si può demolire interamente il Maradona, così come non si può demolire interamente San Siro. Si può fare una demolizione parziale che consentirebbe un miglioramento consistente».

Il Napoli al momento ha presentato il progetto per la realizzazione di uno stadio di proprietà a Poggioreale. Lei ha già detto che il Comune non si opporrebbe. 
«E lo confermo. Lì c’è un tema di realizzabilità. Invitiamo a guardare le cose con pragmatismo. Ci sono una serie di vincoli complicati. L’obiettivo di tutti è fare le cose realmente».

Tornando allo sport giocato, le piacerebbe uno come Julio Velasco nella sua giunta? 
«Ho grande stima di Julio Velasco. Innanzitutto come professionista, perché ovviamente ne capisce di pallavolo. Poi è dotato di grande leadership e di grande umanità. Ha le caratteristiche che a me piacciono. Sì, lo vorrei nella mia giunta».

Nel dibattito del calcio contemporaneo, lei è più per il risultato o per il bel gioco?
«Alle persone piace vincere, a nessuno piace perdere. La prima cosa è vincere. La seconda è giocare bene. Se si riesce a vincere giocando bene, è meglio. Ma preferisco vincere».

L’evento sportivo cui è più legato. 
«L’evento di cui ho ricordi più forti è Italia-Germ ania 4-3, semifinale del Mondiale 1970. Avevo sei anni e fu la prima volta che i miei genitori mi consentirono di andare a dormire più tardi per guardare la televisione. È stato come essere diventato grande».

Anche il ciclismo è una sua passione. 
«Seguivo il ciclismo perché mio nonno era grande appassionato di Felice Gimondi e quindi anche io».

Più Moser o Saronni?
«Saronni era un po’ più estroso rispetto a Moser che era troppo rigido».

Cosa pensa dei divieti delle trasferte che spesso colpiscono i tifosi del Napoli?  
«Sono molto contrario. Fermo restando che sono provvedimenti presi per motivi di sicurezza dal ministero dell’Interno. Dobbiamo però sempre pensare di poter consentire la mobilità. Deve sapere che mio padre era un dirigente del Nola, la squadra della mia città. Da ragazzino seguivo tantissimo il Nola. Ho girato tutte le serie minori. Andavo con la squadra, con Enrico Fedele che era direttore sportivo. Ho girato tutti i campi di Puglia, Calabria, Sicilia, Abruzzo. E serbo ricordo bellissimi di quelle trasferte. Penso che il calcio non possa essere solo televisivo. Bisogna poter andare fuori, partecipare alle trasferte. Il calcio solo televisivo perde tanto del suo fascino».

Il 27 ottobre, proprio a Napoli, con una serata al San Carlo, si chiude il centenario del Corriere dello Sport. Quali sono i suoi ricordi legati al giornale? 
«Il mio ricordo del Corriere dello Sport è legato a quando l’informazione sportiva era il giornale. Ricordo che lo acquistavo per le serie minori. Andavo a vedere i risultati, le classifiche. Non c’era altro posto dove informarsi, non c’era internet. La tv non diceva nulla delle serie minori. Il quotidiano sportivo era lo sport. Anche adesso che ci sono tante fonti d’informazione, il Corriere dello Sport continua ad essere un simbolo nell’immaginario collettivo. Il quotidiano sportivo è un valore che va tutelato».

Un’ultima domanda. Lei da sindaco ha avuto lo stesso percorso di Veltroni. Ha mitigato, se non sospeso, la sua juventinità. Poiché fatichiamo a credere che il tifo sposti voti, come mai speso i sindaci adottano questa decisione?
«Io sono essenzialmente tifoso del Nola che poi è una squadra bianconera. L’ho amata e seguita in tutti i campi possibili e immaginabili. La mia esperienza di sindaco mi ha naturalmente molto avvicinato al Napoli. Ho sempre calcato campi minori. Non avevo quasi mai visto partite in stadi così importanti come il Maradona. Adesso che ho visto i due scudetti, devo dire che le emozioni che mi stanno dando il Napoli e i tifosi sono indimenticabili. Emozioni che mi stanno arricchendo».

 

Fonte: CdS

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