Marisa Laurito: «Che emozione le gare viste con quei due. Tante gioie da Diego»

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Marisa Laurito, volto amatissimo dello spettacolo, non ha mai nascosto la sua passione viscerale per il Napoli, che per lei è ricordo di famiglia, amicizie e vita vissuta. Con compagni di avventura come Luciano De Crescenzo e Renzo Arbore, ha attraversato le stagioni più luminose della squadra, condividendo vittorie, lacrime di gioia e aneddoti rimasti scolpiti nella memoria. Ne parla ai microfoni de Il Mattino:

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Da napoletana doc, come è nata la sua passione per il calcio e per il Napoli?

«Mio padre era tifoso e quindi in casa mia la domenica il televisore era sempre acceso sulle partite di calcio. Quando ero giovane non mi piaceva, anzi mi annoiavo moltissimo. Poi una volta mio padre mi ha portata allo stadio, e da lì non si è capito più niente! Mi sono appassionata in modo furioso al Napoli e l’ho continuato a seguire sempre con amici appassionati di pallone».

Chi erano i suoi compagni di stadio e di partite negli anni più intensi della sua passione?

«Luciano De Crescenzo era il mio compagno di pallone preferito: appassionato e competente, guardavamo le partite spessissimo insieme, o a casa con generi di conforto o qualche volta allo stadio. E da quando è arrivato Maradona i ricordi sono legati naturalmente agli scudetti vinti. Il primo, pazzesco, dopo 35 anni ci ha fatto saltare in aria dalla gioia, e l’ultimo ci ha tenuti fino alla fine in ansia per la vittoria!»

Ci racconta un aneddoto legato ai trionfi del Napoli?

«Gli aneddoti sarebbero tanti. Uno per tutti che ho raccontato nel libro di Dino Falconio “Pokerissino” dedicato al Napoli. Quando si vince uno scudetto a Napoli, non lo vincono solo i giocatori, ma la città intera. L’orgoglio era alle stelle: “1987”, data indimenticabile, io e Luciano ci precipitammo a Napoli, avevamo convinto anche Renzo, che era recalcitrante e non voleva uscire dall’albergo, sul lungomare. La città di Napoli era tutta bianca e azzurra, bellissima! Luciano ed io scalpitavamo per andare in giro, a fotografare, a cantare, a condividere la nostra gioia con gli altri. Renzo ci diceva “ma voi siete pazzi, andare a passeggiare in mezzo a questa folla di scalmanati” e noi… “Renzo, ma quelli non ti pensano proprio, a loro gliene frega solo del Napoli, figurati che se ne importano di te!”. Ma appena Renzo, insieme a noi, mise il naso fuori dall’hotel, fu preso in braccio proprio da quella folla di infervorati, che non gliene doveva fregare niente di lui, e al grido di “Napoli cha cha cha, Arbore cha cha cha”, lo presero in braccio e lo lanciarono in aria più e più volte come fosse un pallone impazzito. Io e Luciano con le lacrime agli occhi ridevamo così tanto che non avevamo la forza fisica di calmare il gruppone di esaltati, per far atterrare Renzo sul marciapiede. Era tutto troppo comico, conoscendo il carattere riservato di Arbore, che appena fu rilasciato da questo rapimento aereo, si rinchiuse in albergo, bestemmiando in turco nei nostri confronti. Mentre io e Luciano andammo in giro per Napoli… sempre portati in braccio dai tifosi, ma senza rimbalzare».

Che significato ha per lei il calcio oggi, non solo come sport, ma come linguaggio culturale e popolare?

«Il calcio è uno sport che più di ogni altro dovrebbe stimolare i tifosi a essere sì appassionati, ma anche imparziali. È un gioco che dovrebbe stare lontanissimo dalla violenza: è tecnica, forza, intelligenza, strategia allo stato puro. Solo questo dovrebbe contare: il grande gioco. Sia per i tifosi che per le società. In questo modo ci sarebbe davvero la possibilità di unire persone diverse tra loro, per cultura e per classe sociale. Purtroppo, però, la violenza spesso abbrutisce questo sport, che invece dovrebbe insegnare professionalità, legalità e meritocrazia».

In che modo, secondo lei, il calcio e il Napoli uniscono le persone e rappresentano l’identità della città?

«Il Napoli non è solo una squadra di calcio, è un sentimento collettivo. È l’anima della città che scende in campo ogni volta. A Napoli il calcio diventa un linguaggio universale che mette insieme tutti: ricchi e poveri, giovani e anziani, uomini e donne. Non importa chi sei o da dove vieni: se il Napoli segna, abbracci il vicino come fosse un fratello. È questo che rende speciale la nostra tifoseria e che fa del calcio un simbolo di identità profonda».

 

 

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