Trent’anni di storia della maglia azzurra: poker di 10

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Dici Napoli e pensi subito a Maradona che fa rima con il numero 10, anzi con la numero 10. Tra Diego e la rivoluzione del 1995 sono passate quattro stagioni e mezzo durante le quali quella maglia è passata da un compagno all’altro. Poi sono arrivate le maglie personalizzate e la 10 doveva avere un proprietario fisso. Sono in quattro ad aver raccolto quella pesantissima eredità, ovvero fino all’estate del 2000 quando il Napoli – con il presidente Ferlaino – decise di ritirare definitivamente la 10 (utilizzata solo in serie C nell’era De Laurentiis, ma per obblighi regolamentari e rigorosamente senza personalizzazione). E allora i quattro cavalieri che fecero la storia sono in ordine cronologico: Pizzi, Beto, Protti e Bellucci. Il primo non seppe resistere al fascino di quella maglia piena di storia e simbolismo a Napoli e quando ci fu da discutere con Boghossian per la numero 8, fece un passo indietro per accaparrarsi la maglia di Maradona. Ecco, stagione 1995-96: la prima con le maglie personalizzate. Ogni squadra sceglie un sistema più o meno empirico per l’assegnazione: l’Inter le mette all’asta dentro lo spogliatoio, l’Atalanta le distribuisce in ordine alfabetico, e il Napoli? Le lascia scegliere liberamente ai calciatori, ma con una sola regola: precedenza ai “riconfermati”. Gli unici due “volti nuovi” ammessi alla scelta sono proprio Pizzi e Colonnese indicati come sostituti di Carbone Cannavaro. È il primo anno delle maglie personalizzate e probabilmente non si è ancora fatto i conti con tv e pubblico, quindi il Napoli esordisce in campionato contro il Bari con numeri bianchi e nomi neri. Esperimento bocciato: i nomi sono troppo scuri sull’azzurro, non si leggono. E dalla gara successiva diventeranno dello stesso colore dei numeri.  Fonte: Il Mattino

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