Vendere è un’arte. Vendere bene, naturalmente, non svendere altrimenti sarebbero capaci tutti. Nel calcio, vendere non è solo un’arte ma anche altro. È un atto di coraggio, innanzitutto: se le cose vanno male dopo che hai ceduto un giocatore, magari un campione, sei in grado di sopportare delusione, risultati negativi, critiche? E poi vendere, nel calcio, è una sfida con se stessi, con la propria competenza: devi sostituire quel calciatore con uno che abbia costi inferiori – altrimenti l’operazione non avrebbe senso – e senza che i risultati ne risentano. Ebbene, se vendere è un’arte, Aurelio De Laurentiis è a tutti gli effetti un artista. Coraggioso, anche. E amante delle sfide.
Le cessioni top di De Laurentiis
Da quando ha raccolto il Napoli dal fallimento, ormai ventuno anni fa, De Laurentiis l’ha guidato e gestito ispirandosi a una regola: ai calciatori ti puoi anche affezionare, ma mai al punto da tenerli legati a te a ogni costo e, soprattutto, di fronte a qualsiasi offerta economica.
Perché i campioni sono importanti, però nessuno di loro è indispensabile (uno indispensabile per la verità è esistito e ha indossato proprio la maglia azzurra, ma una quindicina d’anni prima che De Laurentiis diventasse presidente). Forse non troverai subito il sostituto ideale per la stella che hai ceduto, dovrai dargli il tempo di adattarsi, crescere, maturare. Scegliendo bene, con competenza appunto, potrai però far fronte a qualsiasi cessione, anche la più dolorosa. Se oggi il Napoli è una società sana e vincente, il motivo è questo: nel ventennio di Aurelio ha saputo vendere bene, spesso benissimo, e acquistare a cifre inferiori. Attenzione, però: De Laurentiis non spende tutto quello che incassa, ma reinveste una parte non irrilevante del denaro affinché la squadra rimanga competitiva. Perché in questo modo si avvia un circolo virtuoso: arrivano i risultati, di conseguenza ci sono introiti importanti (la Champions, gli incassi da stadio), e i calciatori hanno l’occasione di mettersi in evidenza e diventare elementi pregiati per il mercato internazionale. Qui il circolo virtuoso si chiude. Anzi, si riapre: nuove cessioni, altri investimenti, vittorie, incassi, valorizzazione dei giocatori. Lo chiamano player trading, è il principio alla base della sostenibilità nel calcio moderno. Che non ha i presidenti
mecenati di un tempo, cioè proprietari straricchi e spendaccioni, perché non ce ne sono più e perché le regole vietano che esistano, ma è spesso guidato da imprenditori che sanno tutelare il futuro dei loro club. Osimhen è l’ultimo colpo in uscita di De Laurentiis. Kvaratskhelia, a gennaio, è stato il penultimo, forse il più ardito perché ha privato il Napoli del suo calciatore migliore quando era in lotta per lo scudetto. Prima c’erano stati Higuain e Cavani, Koulibaly e Kim, Jorginho e Lavezzi e molti altri. Le storie di questi campioni non sono tutte uguali e qualcuna ha anche lasciato l’amaro in bocca al presidente azzurro, soprattutto l’addio di Higuain che sfruttò la clausola rescissoria per trasferirsi alla Juve, la grande rivale, la nemica. Alla lunga, però, nemmeno Gonzalo è stato un rimpianto. Anzi: i novanta milioni incassati da quel trasferimento rimangono l’operazione più remunerativa chiusa dal Napoli nella sua storia. Fonte: Gazzetta
