Il figlio del Petisso diventa Maradona e nel docufilm si confronta con San Gennaro…

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Intervista de Il Mattino – Figlio del Petisso, altro mito argentino per i napoletani, diventa Diego Maradona in un docufilm. Roberto Diego Pesaola, in arte Zap Mangusta, scrittore, sceneggiatore e filosofo, aveva pensato a un’opera sul Pibe pochi giorni dopo la sua morte, quasi cinque anni fa. Indosserà i suoi panni in un “confronto” con San Gennaro, interpretato dall’attore napoletano Patrizio Rispo, nel lavoro di Giulio Gargia “Maradona, San Gennaro e lo sciopero dei miracoli: la fede è una cosa seria ma il calcio è una religione”, che sarà presentato in anteprima sabato 21 al cinema La Perla di Napoli (produzione Cooperativa Tam Tam in associazione con Millennium Cinematografica e Michelangelo Film). «È un “confronto”, ovviamente in Paradiso, su chi è il vero patrono di Napoli. C’è tanta ironia, una nota caratteristica del popolo argentino come di quello napoletano».

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Zap Mangusta li conosce bene entrambi. Suo padre Bruno, il Petisso, ha scritto pagine di storia del calcio a Napoli, prima da giocatore e poi da allenatore. «L’unico ad aver vinto la Coppa Italia con una squadra di serie B, nel ‘62. Pochi anni dopo sfiorò lo scudetto. Lo vinse successivamente a Firenze e questo rimase il suo rimpianto. La presi io quella telefonata dei dirigenti della Fiorentina: chiedevano a papà di salvare la squadra e invece lui vinse il campionato». Il Petisso è morto dieci anni fa, circondato dall’amore di Napoli. «Si era ammalato, avrei voluto che venisse a casa mia a Roma. Ma niente, per lui era impossibile allontanarsi da qui. E per convincermi diceva: “A Napoli non sei mai solo”. Un’assoluta verità».
Si può mettere a confronto il sacro e il profano, il santo protettore e il simbolo della città, l’uomo che negli anni Ottanta guidò il riscatto, non solo calcistico, ed è rimasto tutt’uno con Napoli? «E’ una città contraddittoria, i cui confini sono profondi e incerti. Qui c’è uno stadio dedicato a un calciatore, non più a un santo, San Paolo. La contraddizione nasce dalla stessa posizione di Napoli, sospesa tra l’immensità del mare e il vulcano che ribolle. Chi è il vero patrono di Napoli? San Gennaro si lamenta con Diego, gli chiede se non crede di avere esagerato…». Il figlio di Pesaola ha conosciuto Maradona non soltanto attraverso i racconti del padre, che lo frequentò nei sette anni napoletani, dando saggi consigli rimasti inascoltati. «Venne una volta a teatro a vedere un mio lavoro, “La Passiflora scura”, dedicato al tango. È una figura che ha fatto tanto per Napoli e la gente in lui ha visto l’uomo del riscatto. Una figura contraddittoria, d’accordo: il genio assoluto del calcio e l’uomo con normali, talvolta accese, debolezze. Maradona, visto con occhi bigotti, è stato condannato. Immenso da calciatore, nella vita privata si è comportato come voleva, facendo però soltanto del male a se stesso. Ma ha dato gioia agli altri e per questo va rispettato».
Chi vince questo confronto tra il santo e il campione? «Per me interpretare la figura di Diego è stato motivo di orgoglio ma l’ho fatto in tono scherzoso, con quell’ironia che contraddistingueva mio padre. Un argentino vero, che viveva tutto come una missione da portare a termine ma sempre con tono disincantato. San Gennaro si “lamenta” con Diego: ma hai deciso di sostituirti a me? E Diego gli spiega che non è così, che questo non lo ha voluto lui e che la sua immagine è diventata un simbolo perché così hanno deciso i napoletani. In fondo, ci sarà una ragione per cui i momenti esaltanti della squadra di calcio sono stati celebrati tutti davanti a quella finestra dove fu dipinto il murale di Diego oltre trent’anni fa». In questa città che ha più storie e più anime, spiega il figlio di Pesaola, «queste due figure possono convivere, con tutto il rispetto dei santi, se la città è d’accordo. La tradizione di San Gennaro, il sangue che si scioglie e la protezione, hanno sempre un forte significato. Diego non è stato un santo, non voleva esserlo, ma quello che ha fatto gli viene riconosciuto dal popolo».
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