La figlia dell’ex presidente di Milan e Monza parla a pochi giorni dal terzo anniversario della morte del padre: “Ha lasciato un’identità vincente, un modo di stare in campo che ha cambiato la storia. Sul mio progetto al Portello le istituzioni furono restie, ma San Siro è fatiscente e ristrutturarlo è antieconomico”
Ci sono date da cui non si sfugge, ma non è detto che occorra farlo per forza, anche se sono dolorose. Prima le vedi avvicinare, poi ti vengono a prendere e ti portano tra le pieghe più profonde dell’anima. Per Barbara Berlusconi il 12 giugno è una di quelle date. Mentre per il resto del mondo – quel giorno di due anni fa – era morto Silvio Berlusconi il politico, l’imprenditore, l’uomo di calcio, per lei se n’era andato il papà. Prima papà, poi tutto il resto. Avvicinarsi all’anniversario significa riuscire a restare in equilibrio tra le molteplici forme del ricordo pubblico e quello intimo. Barbara è la terzogenita di Silvio, al quale sono legati indissolubilmente i suoi primi 40 anni: l’educazione, la responsabilità e a volte il peso di portare quel cognome, le aziende di famiglia (è nel Cda di Fininvest), il Milan respirato profondamente tutte le settimane ad Arcore e poi vissuto in prima persona nei quadri dirigenziali su invito del padre.

Se le diciamo papà, qual è il primo termine che le viene in mente?
“Ottimismo, perché è sempre stato un uomo dal grandissimo entusiasmo ed estremamente fiducioso nella vita. Era un ottimismo vero. Credeva nei sogni e li inseguiva con una determinazione che non ho mai visto in altre persone. Riusciva a vedere possibilità dove gli altri vedevano limiti e ci credeva così tanto che alla fine li convinceva”.
Com’era il suo rapporto con lui?
“Un legame profondo, fatto di complicità e di tanta dolcezza. Non era sempre facile stargli accanto, perché chi gli stava vicino doveva entrare nel suo mondo, ed era un mondo complesso. Ma per me è sempre stato un punto di riferimento”.
C’è qualche tratto caratteriale di suo padre in cui si ritrova?
“Sicuramente la determinazione. E anche quell’ironia che usava per sdrammatizzare tutto. L’ironia faceva parte della sua natura, ma a volte gli serviva anche per alleggerire e sdrammatizzare”.

Facile immaginare che il suo cognome a volte sia stato un peso.
“A volte sì. Ma più che un peso era ed è una responsabilità. Portare il cognome Berlusconi significa essere costantemente osservati, giudicati. Ho imparato a viverlo con orgoglio”.
Qual è il suo gesto che più le è rimasto nel cuore?
“Quando, in momenti difficili, mi prendeva la mano senza dire nulla. Era il suo modo di dirmi ‘Ci sono, non sei sola’. Quel gesto vale più di mille parole”.
Il suo insegnamento più importante?
“Si può cadere, ma bisogna sempre rialzarsi. E che non si costruisce nulla di grande senza passione e senza una visione”.

Lei che figlia era, e lui che padre era?
“Io molto curiosa, indipendente, a volte ribelle. Lui un padre amorevole, ti spingeva sempre oltre, ma con una dolcezza tutta sua”.
Un gesto da ribelle che aveva fatto arrabbiare papà?
“Quando mi sono fatta il piercing alla lingua”.
Beh non male, considerando quanto lui teneva alla “pulizia” estetica delle persone…
“Eh già (risata, ndr). Lui certe cose proprio non le voleva vedere. Sono riuscita a tenerlo nascosto per un po’, ma alla fine se n’è accorto. Si vedeva che gli dava fastidio, ma poi l’ha accettato. Con noi figli raramente l’ho visto arrabbiato sul serio. E comunque non era un padre invadente“.
Nei momenti difficili, papà mi prendeva la mano senza dire nulla. Era il suo modo di dirmi “Ci sono, non sei sola”
Suo papà era spesso via per lavoro: come trascorrevate i momenti che riuscivate a ritagliarvi per voi?
“Ho sofferto per molti anni i suoi impegni istituzionali. Però bastava un pranzo insieme, una telefonata più lunga, una risata. In quei momenti il tempo si fermava e diventava solo nostro”.
Quando era piccola non gli rinfacciava le sue lunghe assenze?
“No, anche se ne ho sofferto. Diciamo che quando ero piccola c’era una sorta di abitudine nel vederlo solo una volta alla settimana. Poi, crescendo, ovviamente ho capito. Il bello è arrivato quando abbiamo iniziato a lavorare insieme: in quel momento mi sono ripresa ciò che mi era mancato da bambina”.
Il vostro posto del cuore?
“Macherio, dove vivo ancora oggi. Le tante passeggiate nel parco, lui era un grande amante della natura”.

Anche il Meazza ovviamente è un posto del cuore.
“Ovviamente sì. Ogni volta che entravamo insieme, lui si emozionava e si trasformava”.
Si ricorda la prima volta a San Siro con lui?
“Ero piccola, avrò avuto 6 anni. Ricordo il frastuono, i colori, la sua mano sulla mia spalla. Mi spiegava ogni dettaglio, come se mi stesse facendo entrare in un mondo magico”.
Che parole ha usato per chiederle di entrare nel Milan?
“Con un sorriso e con queste esatte parole, che ricordo come fosse ieri: ‘Hai il cuore rossonero, ora ho bisogno che tu ci metta anche la testa’. È stato un passaggio naturale, come se avessimo sempre saputo che prima o poi avremmo condiviso anche questo”.
Lui che cosa ha lasciato al Milan?
“Una filosofia di gioco, un’identità vincente, un modo di stare in campo che ha cambiato la storia. Ma soprattutto ha lasciato un’eredità emotiva: il Milan del cuore”.
Dopo il Milan, il Monza: per suo padre il calcio cosa significava?
“Era la sua linfa. Il calcio per papà non era solo sport, era emozione pura. Il Monza è stato un atto d’amore: la voglia di continuare a sognare e costruire”.
Più di qualcuno vorrebbe rivedere il nome Berlusconi sia nel Milan, sia in politica: lei personalmente ci ha mai pensato?
“No, non mi ci vedo. Sono orientata e proiettata su altro”.

Ogni lunedì ad Arcore c’era il rito del pranzo di famiglia. Ce lo racconta?
“Era un momento sacro. Ognuno raccontava la sua settimana, lui ascoltava, interveniva, a volte scherzava, altre dava consigli, decideva. Si parlava di politica, progetti aziendali ma, spesso, gran parte del pranzo era dedicata al Milan. Con lui parlavo tantissimo di pallone”.
Suo papà ha vissuto svariate turbolenze giudiziarie: una figlia come vive situazioni simili?
“Con dolore. È stata una persecuzione giudiziaria durata quasi trent’anni e che ne ha minato anche la salute”.
Lo stadio al Portello era stato il grande sogno di Barbara Berlusconi. È stata la prima a proporre un nuovo stadio dieci anni fa, ma non ci sono state le condizioni per andare a dama. E adesso?
“Il dibattito non può più essere se fare o non fare lo stadio. Si deve fare. Rimanere a San Siro non è più un’opzione. Non ci sono alternative se si vuole tenere il passo con i grandi club europei. Sono felice di aver posto il problema dieci anni fa. Allora i tempi non erano maturi, ma ora avverto un nuovo clima positivo. Finalmente amministrazione comunale e club dialogano in maniera costruttiva”.
A cosa si riferisce con “tempi non maturi”?
“Nella mia mente in realtà erano maturissimi. Il nuovo stadio sarebbe servito già vent’anni fa, altro che dieci. Credo non fossero maturi in termini di percezione collettiva, è stato questo che per me ha un po’ sabotato quel progetto. Io ci credevo molto, era un progetto che a tutt’oggi secondo me resta di grande interesse, a partire dalla collocazione e dalla riqualificazione del quartiere. Ancora oggi faccio molta fatica a capire perché le istituzioni e il Comune sono stati così restii a portare avanti il cambiamento. Se la cosa fosse andata a buon fine ne avrebbe beneficiato non solo il Milan, ma anche l’Inter”.

Torniamo al Meazza: molti sono contrari all’addio per motivi affettivi.
“Bisogna guardare al futuro. Milano ha sempre sacrificato una parte della propria storia e conformazione urbanistica in nome del progresso e della modernità. Per questo Milano è la città che è oggi”.
Cosa replica a chi dice che non si può rinunciare a uno stadio così iconico?
“È una struttura fatiscente. Chi frequenta il 3° e il 2° anello lo sa bene. Seggiolini piccoli e scomodi, rampe faticose. Bar e servizi igienici non all’altezza, corridoi affollati che impediscono il movimento. La struttura vive solo per i 90′ della gara ed è un luogo desolato per gran parte della settimana. Con un progetto nuovo si svilupperebbe pure il quartiere”.
Non la convince l’ipotesi di una ristrutturazione?
“No, perché è antieconomico. Sotto la mia direzione l’abbiamo in parte già ristrutturato in occasione della finale di Champions. Ma non basta. Non bisogna avere paura del futuro, né vivere nel passato in una sorta di decrescita felice solo italiana”.
Qualcuno sostiene che tutto ciò finirà per far lievitare i prezzi dei biglietti.
“Già oggi il costo del biglietto è troppo alto per il servizio offerto”.
L’ipotesi San Donato, ovvero uno stadio fuori città, la disturberebbe concettualmente?
“Per me lo stadio deve essere costruito in città, ma se non si può fare altrimenti va bene anche fuori dal centro urbano. L’essenziale è che sia un impianto nuovo”.
In passato sul tema stadio lei ha avuto botta e risposta infuocati col sindaco Sala: avete fatto pace?
“Certamente. Il confronto fa parte della vita. Con lui ho un rapporto assolutamente cordiale, anche perché lavoriamo insieme alla Scala (Barbara è nel Cda, di cui Sala è presidente, ndr). Non è sicuramente un rapporto di tensione”.
Come vive lo sprofondo sportivo del Milan?
“Mi spiace molto, ma sono fiduciosa per la prossima stagione”.
Sul Monza invece che progetto c’è dopo la retrocessione?
“Milan e Monza sono nel mio cuore. Non voglio svicolare dalla domanda ma, come noto, non me ne occupo personalmente”.
Che donna è, oggi, Barbara Berlusconi?
“Una donna che si divide tra cinque figli, il lavoro e i suoi interessi artistici e culturali. È un momento della mia vita positivo, mi sento realizzata e serena”.
Fonte:Gazzetta
