Bruno Siciliano, il professore tifoso: «Io all’università con il kilt? McFratm lo meritava»

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Il video del suo ingresso nell’aula della Federico II vestito con calzerotti azzurri, kilt scozzese, fascia del Napoli sulla testa e maglia che omaggiava Mc Tominay nel giorno successivo alla conquista del quarto scudetto ha fatto il giro del web diventando immediatamente virale. Accanto a lui un prototipo di quadrupede robot sul quale era stata fissata una bandiera azzurra.

Factory della Comunicazione

È stato così che il professor Bruno Siciliano, luminare di robotica e grandissimo tifoso del Napoli, ha voluto festeggiare insieme ai propri studenti il secondo scudetto vinto in tre anni dal club partenopeo.

Il cane robot tifoso del Napoli

«I miei studenti si aspettavano qualcosa memori di quando, in occasione della vittoria del terzo scudetto, mi presentai in aula con i capelli tinti di azzurro. Perciò ho voluto stupirli rendendo omaggio al protagonista indiscusso della stagione, Scott Mc Tominay, o Mc Fratm», come ama simpaticamente nominarlo il professore e tutto il popolo napoletano. «Ma non mi sembrava abbastanza – aggiunge – quindi mi sono fatto accompagnare dal cane robotico. Al mio ingresso i ragazzi erano tutti vestiti con la maglia azzurra e mi hanno accolto con cori e canti».

Il tifo come metafora della vita

Ma se qualcuno potrebbe storcere il naso dinanzi al fatto che in un’aula universitaria si facciano cori da stadio, il professor Siciliano spiega che dietro questo gesto festoso e goliardico c’è un messaggio che lui ogni giorno cerca di trasmettere ai suoi ragazzi: «Mettere passione in tutto quello che si fa. È questo che dico sempre ai miei studenti e ai miei figli. Il tifo è metafora della vita. E tutta questa passione io voglio trasmetterla ai ragazzi perché i giovani devono sperare in un futuro migliore e porsi grandi obbiettivi e grandi sogni. E il tifo è la giusta maniera per mostrare questa passione nei confronti della vita».

Il Maradona della robotica

La passione di Bruno Siciliano per il Napoli emerge chiaramente dalle sue parole. Ma il professore nutre un amore profondo anche per la città e lo si evince dalle sue parole mentre racconta di quando, appena laureatosi, era un giovane dottore di ricerca senza un vero e proprio lavoro e con pochi soldi in tasca: «Mi fu offerta una cattedra molto importante negli Stati Uniti ma rifiutai. L’ho fatto prendendo esempio da quello che è il mio idolo calcistico ma anche un modello professionalmente da seguire. Diego Maradona ha deciso di venire a Napoli per vincere e far sognare i tifosi. Ha vinto un mondiale con l’Argentina quando era captano del Napoli, si è andato a giocare la coppa Uefa con la maglia del Napoli e ha vinto anche quella. Un conto è vincere indossando la casacca di una delle squadre più titolate al mondo come ad esempio il Real Madrid, un altro è vincere con il Napoli. Come un conto è avere una cattedra a Stanford, e un altro è conquistarsela nella propria città, peraltro in una istituzione quale è la Federico II. È per questo che ho deciso di restare qui, per cercare di restituire a questa città tutto quello che i miei maestri mi hanno insegnato dal punto di vista professionale. E oggi sono orgoglioso che nelle più prestigiose università di tutto il mondo si studi la robotica dai miei libri, i libri di un professore napoletano dell’Università Federico II e tifoso del Napoli, che non ha mai lasciato la propria terra».

La passione per il Napoli

«Da piccolo andavo in tribuna con mi padre e mio zio Mario, crescendo mi abbonai in curva B perché volevo vivere la vera essenza del tifo. Un ricordo per me indimenticabile è quando nel dicembre del 75 andai in trasferta a Roma perché il Napoli giocava contro la Lazio. Eravamo in 35mila e quella fu la prima volta in cui venne intonata in coro la canzone ‘O surdato ‘nnammurato. Quando invece il Napoli è fallito retrocedendo in serie C, oltre al grande dispiacere mi ritrovai davanti ad un altro problema, ovvero che i miei figli potessero innamorarsi di idoli calcistici di altre squadre. Perciò li dirottai sul calcio internazionale e i congressi fatti in tutta Europa divennero anche l’occasione per andare allo stadio.

Life is Life

«A tal proposito c’è un altro ricordo che porterò sempre nel cuore e cioè quando nell’89, in occasione della semifinale di coppa Uefa all’Olympiastadion il Napoli di Maradona sfidò i bavaresi. Ebbene con i miei occhi potetti assistere ai famosi palleggi che Maradona fece durante il riscaldamento prima di quella gara con le scarpe slacciate e la giacca della tuta di due taglie più grande. Palleggiava al ritmo della canzone Life is Life e mi commossi profondamente nel vedere che l’intero stadio applaudiva a scena aperta perché tutti avevano avuto la percezione di trovarsi ad assistere ad un pezzo di storia. Ho avuto la fortuna di vivere tutti e quattro gli scudetti del Napoli ma quelli per me più significativi sono stati il primo, perché il primo amore non si scorda mai, e l’ultimo. Perché nell’ultimo c’è stata una vera e propria esplosione di gioia. Ora il mio sogno è che il Napoli possa raggiungere una finale di Champions League».

Un tifo da stadio

«Tengo a precisare che io sono certamente un grande tifoso del Napoli ma amo il calcio in generale e soprattutto amo il calcio negli stadi perché allo stadio le differenze sociali si abbattono e ci si ritrova ad abbracciare degli sconosciuti che in quel momento sono tuoi fratelli perché condividono con te la stessa passione».

Fonte: Il Mattino

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