E’ stato uno dei primi colpi del Napoli di De Laurentiis neo-promosso in Serie A nel 2007. Walter Gargano, ora è un giovane allenatore in Uruguay. La Gazzetta dello Sport l’ha intervistato. Di seguito, un estratto delle sue parole.
“La città mi ha cambiato la vita. Sono diventato un calciatore, ho conosciuto l’amore dei tifosi e incontrato mia moglie. In Italia sono nati pure due dei nostri tre figli. Mi sento napoletano. A casa è partita la festa. Bandiere, fumogeni, fuochi d’artificio. Sembrava quasi di essere a Napoli”.
Se lo aspettava un finale così?
“Finalmente ho visto il gruppo unito. Sono felicissimo per Olivera, è uruguaiano come me e ha conquistato il suo secondo titolo con il Napoli. Conte ha saputo riorganizzare la squadra. Ho imparato a conoscerlo, durante la partita contro il Parma dicevo ai miei figli: ‘Ecco, adesso giocherà così. Ora farà questa sostituzione. In effetti avevo ragione’”.
McTominay è stato decisivo. È lui l’eroe di questo scudetto?
“Ha vissuto una stagione straordinaria, mi ricorda tanto Hamsik. Pressa l’avversario, imposta la manovra e si inventa giocate incredibili come l’acrobazia contro il Cagliari. Anche Lukaku è riuscito a fare la differenza, ma il vero segreto è la solidità della difesa”.
Lei fino alla scorsa stagione era in campo con il River Plate Montevideo. A 39 anni non ne voleva proprio sapere di smettere.
“Le dirò di più, non l’ho ancora fatto. Mi tengo in forma, vorrei organizzare una partita d’addio con amici ed ex compagni. Nel frattempo ho iniziato la carriera da allenatore con gli Allievi del City Torque, in squadra c’è anche mio figlio Matias”.
Pure lui vuole diventare un calciatore?
“Ha 15 anni, Thiago 13 e il piccolo Leo 8. Giocano tutti a calcio, io e Miska li supportiamo. Vediamo come andrà. Magari presto avremo altri Gargano in Europa”.
Il primo a darle una chance è stato Pierpaolo Marino, era l’estate del 2007.
“Il Napoli tornava in A dopo il fallimento. Il direttore prese me, il Pocho, Hamsik e Zalayeta. Fu una scelta di cuore, sentivo che era la squadra giusta. Avevo appena vinto il campionato con il Danubio, all’inizio ero indeciso. Meno male che ho accettato”.
Cosa l’ha colpita di Napoli?
“L’amore, quello della gente per la squadra e quello che ho trovato nei primi mesi in città. Sono sposato con la sorella di Marek, ci siamo conosciuti all’esterno dell’hotel di Castel Volturno. Io non avevo nulla, non ero ricco e neppure famoso. Indossavo quello che capitava. Eppure, ci siamo guardati e abbiamo capito che avremmo passato insieme il resto della vita”.
Per lei, anche quella con la maglia azzurra è stata una storia d’amore.
“Ho segnato i miei primi due gol in Serie A contro la Roma di Totti e la Juventus di Del Piero. Ho sfidato campioni come Ronaldinho e Ibrahimovic. Scendere in campo al San Paolo è un’emozione difficile da spiegare. Capisci che un avversario ti sta pressando dalle urla dei tifosi. Vivere e giocare con il Napoli è stata l’esperienza più bella mia vita. Sarò sempre il primo tifoso degli azzurri”.
Chi era il più folle dello spogliatoio?
“Ridevamo in continuazione, capitan Cannavaro e De Zerbi provavano a calmarci. Ricordo che Carmando era disperato, doveva nascondersi il portafoglio nelle mutande, glielo rubavamo sempre (ride, ndr). Il Pocho invece era scatenato. Durante un confronto accesissimo con Mazzari ho dovuto bloccarlo per evitare il peggio”. Anche su di lei se ne sono dette tante.
“Si riferisce all’episodio con Montervino? Tutto vero, abbiamo litigato dopo un contrasto in allenamento. Siamo arrivati alle mani, poi è finita lì. Ero giovane, non pensavo troppo alle conseguenze. Sarò sincero: non è stata l’unica volta…”.
Adesso però deve raccontarci.
“Avevamo vinto contro la Lazio all’Olimpico e stavamo tornando a Napoli in bus. Eravamo felicissimi e ascoltavamo musica a tutto volume. Con noi, c’era anche Edoardo De Laurentiis. Aveva la nostra età, non era ancora vice presidente. Voleva che ci calmassimo. Io reagii male, oggi non lo rifarei. Lui e il presidente hanno sempre creduto in me”.
È vero che De Laurentiis provò in tutti i modi a convincerla di rifiutare l’offerta dell’Inter?
“Al Mondiale del 2010 arrivammo fino in semifinale. Il c.t. Tabarez ci chiedeva continuità. Con Mazzarri non l’avrei avuta, mi disse chiaramente che aveva altri piani. Il presidente mi telefonò, voleva che restassi. Ma avevo già deciso”.
Durante la prima conferenza in nerazzurro disse: ‘È la squadra dei miei sogni, da piccolo ci giocavo sempre alla PlayStation’. I tifosi del Napoli se la legarono al dito.
“Quando sono tornato in azzurro nel 2014, due anni dopo, ho ricevuto tante critiche. Allo stadio c’erano gli striscioni contro di me. Ho lavorato tantissimo per trasformare quei fischi in applausi. Benitez mi ha convinto a riprovarci”.
Tornasse indietro lascerebbe ancora Napoli per l’Inter?
“Ogni decisione è giusta o sbagliata in relazione al momento in cui la prendi. Il mio unico rimpianto è quella frase detta in conferenza. Ho sbagliato”.
Al Napoli però si è tolto tante soddisfazioni: dall’esordio in Champions contro il City al rigore segnato in Supercoppa contro la Juve nel 2014.
“Due anni prima avevamo perso, non potevamo sbagliare. Qualcuno non ha avuto il coraggio di tirare, io ho scelto di prendermi quella responsabilità. Buffon me ne aveva già parato uno in Confederations Cup, così durante la rincorsa ho deciso di cambiare lato. Per fortuna è andata bene”.
A proposito di nazionale, lei era in panchina anche in quell’Italia-Uruguay al Mondiale in Brasile.
“Ecco, il morso di Suarez a Chiellini. Quando tornammo negli spogliatoi chiesi a Luis se l’avesse fatto davvero, mi disse di no. Mentiva, ma in quei momenti sei preso dall’adrenalina. È sempre stato un giocatore grintoso, se non avesse avuto quell’atteggiamento non sarebbe mai arrivato così in alto. Giocava ogni partita come se stesse sfidando gli amici per le strade della sua città”.
Lei ha chiuso la carriera nel suo Paese. Napoli le manca?
“Mi sarebbe piaciuto festeggiare lo scudetto in curva: urlare a squarciagola, il vero tifo è lì. Vorrei vivere quelle sensazioni insieme alla gente di Napoli. Anche tornare a girare per la città. Magari a breve organizzeremo un bel viaggio”.
Gargano, da allenatore dove vuole arrivare?
“La strada è lunga. Adesso voglio aiutare i ragazzi a crescere. Un giorno vorrei allenare il Napoli, il mio Peñarol e l’Uruguay. Devo prepararmi bene. I sogni non hanno mai limiti”.
