“The history man”, anche una vita fa, era una mezzala scozzese. Di lui, in un italiano riconoscibilmente monarchico, diceva un compagno: “Ovunque è la palla lui si trova. Unisce al buon gioco una straordinaria infaticabilità. Né mai si lagna del cattivo passaggio di un compagno”. La forma è ingessata come solo certe frasi da parlamentare giolittiano, la sostanza non è lontana dalla pacca sulla spalla che il Lukaku di turno potrebbe affibbiare a McTominay, la mezzala venuta da lontano per portare il Napoli lontanissimo. In orbita scudetto. E invece l’infaticabile centrocampista di cui sopra giocava in bianco e nero, e non solo per le fotografie dell’epoca. Era il 1905: per la prima volta, nonché unica fino a un pugno di ore fa, due scozzesi vincevano lo scudetto. Altro che Gilmour e McTominay. Ai tempi di Giolitti il campionato si giocava nel triangolo industriale, e a vincerlo furono un laterale e una mezzala. Il Mulo e il Biondo. Un veterano di guerra scampato a un naufragio per miracolo e un talento maledetto e sfortunato. Segni particolari? La nazionalità e la passione per le sorelle Stroud, al punto da sposarne una a testa. Ma anche il desiderio di vincere più trofei possibile, soprattutto la Palla Dapples. Anche nel 1905, nella testa dei calciatori, scorrevano notti di sogni, di coppe e di campioni.
L’idea del signor Becker

Diment
Nel 1904 a James Squair e Jack Diment sganciano una ghiotta proposta: “C’è la possibilità di lavorare a Torino”. E in seconda battuta: “Se ve la cavate bene col football, la Juventus potrebbe ingaggiarvi”. I due, per l’epoca, vengono da un altro mondo. Jack ha gamba notevole e un mancino educato: può ricoprire ogni posizione sull’out di sinistra. James è una mezzala dall’interessante spirito garibaldino: siccome si gioca col 2-3-5, sa trasformarsi con disinvoltura in un vero e proprio attaccante. Ma il calcio è l’ultimo dei pensieri. I due sono scozzesi e hanno soprattutto bisogno di lavoro: da un annetto si sono affidati al signor Walter Becker, influente armatore di piroscafi con numerosi contatti in Italia. L’industriale è appassionatissimo di calcio: nel 1901 ha fondato un club a Messina e vanta diverse amicizie a Torino. Così coglie due piccioni con una fava e non solo propone ai due il lavoro nella filiale piemontese, ma prospetta l’idea di un contratto con la neonata Juventus. Un pensiero stupendo, per gli adolescenti James e Jack. Che nel 1905 sbarcano a Torino: uno dei due, senza saperlo, darà l’ultimo saluto al Regno Unito.
Lo scudetto e la palla Dapples

James Squair
Il calcio in età giolittiana apprezza il concetto di “scudetto”, ma a dir la verità va matto per un altro trofeo. È la Palla Dapples, una sfera d’argento donata dal vicepresidente del Genoa che per cinque anni si trasforma nella gitana più desiderata dell’alta Italia. Una Sherazade da rincorrere a tutti i costi per esporla in bacheca, anche solo per… una settimana. Già, perché la formula della Palla Dapples è quella del “chi vince regna”: si gioca più volte al mese (chissà che anche allora qualche dirigente non parlasse di calendario compresso), la squadra di casa ha due risultati su tre per conservarla. Se perde, la compagine che l’ha sconfitta ottiene il diritto di mostrarla in bacheca. Fino alla sfida successiva. Ecco, l’esordio di Squair e Diment avviene non durante l’antenato della nostra Serie A. Ma in una sfida di Palla Dapples: novembre 1904, Genoa-Juventus 1-0. Il trofeo resta in Liguria. Pazienza: giusto sei mesi dopo i torinesi (bianconeri da poche settimane, considerato che fino all’anno prima indossavano una camicia rosa con colletto bianco e berretto nero) vincono il loro primo scudetto. La corsa di Diment e gli inserimenti di Squair fanno la differenza: qualche proto-esperto delle heatmap li avrebbe forse definiti box-to-box. Jack è il Mulo, infaticabile come pochi. James cattura l’occhio degli spettatori per la capigliatura fluente, e diventa subito il Biondo. I due costituiscono gli unici stranieri, assieme allo svizzero Walty, della prima Juventus campione d’Italia. E gli elogi si sprecano: Squair “non si lagna mai del passaggio di un avversario” racconta di lui il centravanti Donna “ed è un elemento prezioso, anche perché serve alla squadra come interprete”. Già, il quoziente intellettivo di James ha catturato l’attenzione di molti. Anche del signor Becker, che decide di nominarlo direttore della filiale di spedizioni di Napoli.

Napoli non è dietro l’angolo. Squair, prima di accettare, gioca ancora a calcio con l’amico di sempre, collezionando gioie e amarezze: perdono lo scudetto del 1906 rinunciando a giocare lo spareggio col Milan perché il “campo neutro” proposto alla Juventus è letteralmente quello dei rossoneri padroni di casa. E per la prima volta il titolo si decide in segreteria. Poi, nel 1908, passano insieme al Torino. Diment e Squair, i due scozzesi ormai adottati dall’Italia, trascorrono insieme anche le serate. Si innamorano delle signorine Stroud, figlie di un produttore di merletti. Una sera, dopo l’allenamento, ci ridono su: “Ci manca solo di imparentarci sposando due sorelle”. E così avviene: James si lega a Mabel, l’unione si celebra al Consolato Britannico di Napoli nel marzo 1909. Jack manda un telegramma di felicitazioni da Torino e negli stessi giorni vince due volte la tanto agognata Palla Dapples. Poi si unisce alla sorella di Mabel, Olga: il finale di carriera lo porterà a Milano, sponda rossonera.

James Squair vede Napoli e poi muore. La mezzala col vizio del gol (chissà se anche all’epoca ci fossero i malati di statistiche ansiosi di chiedergli la doppia cifra fra gol e assist) si spegne nel capoluogo partenopeo nel novembre 1909. Lo trovano senza vita in un edificio a pochi passi dall’area su cui oggi sorge lo stadio cittadino. Lo scozzese se ne va senza riuscire a commuoversi per la nascita della figlia: solo cinque giorni dopo la sua morte, infatti, Mabel partorisce la piccola Emily. Jack Diment, nel frattempo, la combina grossa in maglia rossonera: a dicembre sferra un pugno a un giocatore dell’Andrea Doria e il pubblico ligure la prende benissimo, scegliendo di invadere il campo. Sono tempi bui e non solo per il calcio: di lì a cinque anni il ragazzo dai sette polmoni di Devonport viene richiamato in patria per la Grande Guerra. Diventa autista, lo mandano a Salonicco dove si ferisce ed è costretto a rientrare a casa nel 1916. Si imbarca sulla nave-ospedale Britannic e, a differenza dell’amico fraterno Squair, vince una battaglia col destino: dribbla la morte scendendo sulla terraferma prima che la nave venga affondata in pieno Egeo da una mina tedesca. Torna a Torino negli anni ’30, quando si risposa e sceglie di far nascere il figlio Donald all’ombra della Mole. Ha avuto tempo per visitare la tomba di James: chissà se nei loro sussurri, con quelle consonanti scozzesi che solo il vento del Nord sa rendere così gutturali, avranno ricordato la prima formazione della Juventus campione d’Italia. Quella del 1905, quando la Palla Dapples valeva ben più di un pugno di lire.
Fonte: Gazzetta28
