Pensieri neanche troppo meditati su Napoli campione d’Italia. C’è la gioia infinita nel vedere la mia città e la mia gente prese da una felicità così pura e totale. L’ho vissuta da Roma, dove lavoro in questo periodo; ho potuto immaginare cosa stava succedendo a Napoli, conoscendola nelle viscere. C’è lo spazio per i ricordi, per i paralleli con le vittorie passate. Ero alla festa del primo scudetto: la vittoria venne ancora più a sorpresa e ci colse impreparati, non eravamo abituati a vincere, noi del Sud. Era una Napoli bistrattata che si imponeva per il riscatto di una comunità. Accadde grazie a un ragazzo che ho avuto la fortuna di conoscere, Diego, anche lui travolto dalla felicità imprevista. Due anni fa tornammo a vincere e fu come recuperare emozioni lontane: ora è diverso.
Napoli non è più il paradiso abitato da diavoli, è sulla bocca di chiunque abbia buon senso, è la meta del turismo e del buon vivere, così questa affermazione giunge come una conferma di ciò che da sempre sappiamo: è un luogo speciale.
Napoli è amata da tutti
E c’è una riflessione su quanto accade nel mondo che scatta appena ti scopri a stare nella gioia per un successo che forse è effimero. Mentre si consumano atrocità sui bambini di Gaza e guerre in decine di Paesi ti senti quasi in colpa a gioire per il calcio. Poi mi corre in soccorso Pasolini che come sempre aveva capito tutto mezzo secolo prima. Diceva che il calcio è l’ultima cerimonia sacra del nostro tempo. Ora che capitalismo e consumismo hanno spazzato via ogni valore, fatto a pezzi la società tradizionale, ora che il profitto prevale su ogni altra ragione di vita, il pallone, lo sport dei poveri, riesce a farci unire ancora come se fossimo tutti uguali. A Napoli, eccezione e lezione del saper stare al mondo in un modo unico, campione d’Italia, campione di vita.
Fonte: Il Mattino
