Dagli studi de Il Mattino, Ghoulam: «Ho festeggiato due anni fa perché condividevo la gioia di un popolo che ho imparato ad amare»

«Io, napoletano per sempre. Sento anche mio lo scudetto»

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Dal trentatreesimo piano della Torre Francesco del Centro Direzionale, dalla redazione del Mattino di Napoli, Faouzi Ghoulam si affaccia e si gode la città che per 8 anni è stata anche la sua. Ogni volta che torna è come un colpo al cuore. «Mi sento napoletano», lo dice, lo ripete, poi si ferma a guardare il panorama ed è l’unico momento in cui riesce a prendere fiato. Nel tumulto di emozioni che lo attraversano quando rivede il Golfo da una prospettiva diversa («Abitavo a Posillipo, da lì vedevo l’altra parte») gli passano davanti i momenti di una vita trascorsa con la maglia azzurra, quella che di fatto è come se non si fosse mai tolto da dosso. Poi comincia il racconto a cuore aperto.

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Partiamo dall’attualità più stretta: cosa le passa per la testa adesso guardando questo panorama?
«Che a Napoli non voglio mai tornare perché mi sembra sempre di starci troppo poco tempo. Non mi basta mai e finisco per restare con l’amaro in bocca. Troppi ricordi. Tante gioie e qualche sconfitta. Per la mia vita è stato un passaggio importantissimo dal punto di vista professionale ma soprattutto a livello umano».

Lei è sempre stato un difensore di Napoli: anche fuori dal campo.
«Io mi sento napoletano. Diciamolo subito, così evitiamo equivoci».

Allora prego…
«Quando sono arrivato a Napoli ho subito capito che c’era una forte rivalità tra Nord e Sud e questa cosa mi ha molto colpito. Ho giocato la mia prima partita a Bergamo e ho visto subito la rivalità che per me era una cosa incredibile. Per me era normale difendere questa terra, Napoli e il Sud. Mi sento una persona del Sud».

È anche per questo che oggi a Napoli si ricordano ancora di lei con tanto affetto.
«La nostra è una generazione di calciatori che non è stata dimenticata per l’amore che abbiamo dato, per il rispetto di questi colori e perché abbiamo capito la mentalità delle persone».

Come vivevate il rapporto con la città?
«Una cosa viscerale. Per noi ogni partita era una battaglia per Napoli. Non eravamo spinti da motivi personali ma motivi più ampi. Per noi l’importante era riportare il Napoli al suo posto nel panorama calcistico italiano ed europeo così come aveva fatto Maradona. È vero che non siamo riusciti a fare quello che ha fatto lui ma abbiamo dato un contributo molto importante».

E infatti lei ha festeggiato con grande passione la conquista del terzo scudetto…
«Beh ma io lo scudetto l’ho vinto. Certo, non ci sono riuscito da calciatore ma da tifoso del Napoli. Tutti noi siamo rimasti attaccanti a questa città: quando il Napoli vince vinciamo, quando il Napoli perde perdiamo. Nel calcio succede che quando cambi squadra cambi anche fede, ma per me non è stato così. In passato avevo ricevuto anche delle offerte da parte di altri club di serie A ma ho sempre rifiutato: non ce l’avrei fatta a vestire una maglia diversa da quella azzurra. Sarebbe stata una mancanza di rispetto per i tifosi del Napoli. La carriera passa in secondo piano quando in ballo c’è il rispetto».

Come ha festeggiato lo scudetto?
«Ero in Francia e ammetto che avevo paura».

Ovvero?
«Paura prima delle ultime partite perché temevo che qualche altra squadra potesse recuperare terreno. Non sono scaramantico, ma ammetto che temevo una beffa finale. Per questo quando abbiamo vinto non ho provato solo gioia, ma soprattutto un senso di appagamento. Era come se quello scudetto lo stessi aspettando anche io da 33 anni. Ero felicissimo, ma soprattutto per i napoletani perché sapevo quanto ci tenevano e quanto lo stavano aspettando».

Voi ci siete andati vicinissimo nel 2018, l’anno dei 91 punti.
«Il nostro dispiacere quell’anno è stato più per la gente che per noi. Noi volevamo vincere per i napoletani. Per un calciatore conquistare i titoli è importante, ma per me contava che il Napoli vincesse lo scudetto a tutti i cosi. Vincere per il mio orgoglio personale non mi toccava».

A cosa deve questo legame così forte con la città?
«Dicono che Napoli ti prenda tanto ed è vero, ma è una città che sa cosa è la riconoscenza. Quando dai il cuore e l’anima non importa il resto e ai napoletani importa vedere sudare la maglia, rispettare i propri colori e rispettare l’anima del Sud».

E ora come sta vivendo la lotta scudetto?
Ora sto benissimo».

Addirittura?
«Eh sì, perché intanto ci siamo tolti il peso della vittoria con lo scudetto del 2023 e adesso possiamo aprire un ciclo».

Ci dica.
«Onestamente non mi aspettavo così rapidamente un’accelerata del Napoli. Pensavo ci volessero almeno un altro paio di anni dopo lo scudetto. Certo, Conte è uno che prova a vincere subito, ma così velocemente è stata una sorpresa. Quella del Napoli è una stagione straordinaria perché veniamo da un anno molto difficile. Pensavo che si potesse tornare tranquillamente in Champions e invece sono partiti subito a tutta velocità. Ma vorrei aggiungere una piccola riflessione».

Prego.
«Se il Napoli non dovesse vincere non si deve pensare che abbia perso. Questa stagione così da protagonisti non era prevista: sono state gettate le basi per aprire un ciclo. Dobbiamo guardare avanti».

Nell’anno dei 91 punti anche a voi toccava inseguire: cosa comporta per un calciatore?
«Quando sei sotto non puoi sbagliare perché pensi che se sbagli una partita è finita. E giocare in orari o giorni diversi ti mette pressione. Se non sei preparato bene puoi sbagliare perché per andare a cercare il gol a tutti i costi concedi qualcosa a livello difensivo».

Cosa serve al Napoli?
«Lo aiuteranno i tifosi. Quando sei in casa loro spingono sempre e gli avversari si sgonfiano. E poi facciamo un po’ il tifo per l’Inter in Champions: se va avanti lì magari perde un po’ di energie per il campionato. E poi nelle coppe europee tifo sempre per le italiane: devo tanto alla Serie A».

Passiamo agli allenatori del suo passato: da chi vuole partire?
«Gattuso è stato come un fratello. Un grandissimo allenatore ma soprattutto una persona incredibile. Un uomo del Sud. Ti chiede tantissimo ma poi di restituisce anche di più. Mi è rimasto proprio nel cuore».

E Sarri?
«Ci massacrava con video e tattica. Mai fatto così tanto lavoro in tutta la mia vita. Ma mi è servito tantissimo: ho acquisito un bagaglio molto importante».

Ghoulam è un ragazzino di 34 anni che da grande cosa vuole fare?
«Lavorare in tv e parlare di calcio mi piace e mi diverte. Mi permette di parlare di tattica e confrontarmi con gli altri. Poi studio da allenatore e direttore sportivo. Magari poi aspetto anche mio fratello Koulibaly e vediamo anche lui quello che vuole fare. Di sicuro vorremmo stare insieme».

Prima di andare via scopre della tragedia del Faito: si informa e manda un abbraccio alle famiglie delle vittime, perché il legame con questa terra resta ancora fortissimo.

 

Fonte: Il Mattino

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